Ci risiamo. Ma ci risiamo davvero?

Molti osservatori hanno sottolineato le novità dell’attacco di Hamas di sabato 7 ottobre: l’impreparazione dei servizi e delle difese israeliane, il numero elevato di vittime e di ostaggi, la gran quantità di razzi piovuti sullo Stato ebraico... Ma non ci sono solo novità, e non tutte le novità si esauriscono nella striscia di terra tra Gaza e Israele.

Ci sono alcune continuità: per esempio, l’incapacità fisiologica della dirigenza palestinese, di qualunque tendenza, di fare politica, o l’altrettanto fisiologica impossibilità di Israele di quadrare il cerchio di uno stato che vorrebbe essere al tempo stesso “ebraico” e “democratico”.

Più recente è il tentativo di smantellamento delle strutture statali da parte dell’attuale governo di Tel Aviv, tentativo che ha probabilmente finito per creare divisioni all’interno delle (un tempo) leggendarie strutture di difesa del paese, rendendole più vulnerabili.

La popolazione palestinese è stata tenuta in ostaggio da settant’anni da tutti i governi della regione, che se ne sono serviti per contendersi un po’ di gloriucola e soprattutto per mantenersi al potere, trovando all’esterno una legittimazione che non avevano all’interno.

I cosiddetti movimenti di resistenza palestinese sono sempre stati i complici consapevoli di battaglie che non riguardavano la loro popolazione, ma gli interessi, di volta in volta, dell’Egitto, dell’Iran, dell’Arabia saudita, dell’Iraq e via elencando.

L’attacco del 7 ottobre lo dimostra: in politica – almeno in teoria – quando si fa qualcosa la si dovrebbe fare in vista di raggiungere uno scopo; ora, qual è lo scopo di Hamas? Distruggere Israele? Migliorare le condizioni della popolazione palestinese? Ovviamente Israele non sarà distrutta e le condizioni dei palestinesi e degli arabi israeliani peggioreranno, una volta di più.

«Muoia Sansone e tutti i filistei», sembrerebbe gridare la dirigenza di Hamas. E sarebbe così se lo scopo riguardasse davvero le popolazioni palestinese e israeliana; ma, volendo trovare un filo di razionalità in questa vicenda, occorre cercarlo al di fuori, dove stanno appollaiati tutti gli avvoltoi che si sono nutriti per decenni delle migliaia di vittime di quell’interminabile conflitto. 

La regia dell’Iran?

Molti sospettano una regia di Teheran. Di certo, gli ayatollah hanno sempre fatto dell’ostilità verso l’ “entità sionista” il loro distintivo di fronte a una popolazione iraniana che è senza dubbio la meno anti-israeliana della regione; e il riavvicinamento a un’Arabia saudita pronta a barattare la “causa palestinese” con un po’ di tranquillità avrebbe potuto indebolire ancor più la scarsa legittimità dell’aristocrazia clericale di Teheran, almeno nella ristretta cerchia che la mantiene al potere.

L’attacco di Hamas mette Riad con le spalle al muro e ridà – forse – un po’ di fiato al boccheggiante regime iraniano. Durerà poco, ma i dirigenti di Teheran hanno imparato a vivere alla giornata.

Tuttavia, chi rischia di pagare il prezzo più alto – politicamente parlando – non si trova nella regione. È presto, ovviamente, per fare un bilancio; ma questa “operazione militare speciale” di Hamas sul territorio israeliano sembrerebbe creare difficoltà e imbarazzo soprattutto a Pechino.

La dirigenza cinese, reduce dalla vittoria diplomatica dell’apertura dei Brics al Medio Oriente, sperava di riuscire là dove Washington ha miserevolmente fallito; con il colpaccio del riavvicinamento tra Teheran e Riad sperava di aver rimesso sui binari un’ansimante via della seta. La disgrazia di Pechino è di avere pochi amici nel mondo, e tutti inaffidabili; dopo la chiusura delle direttrici russe e l’impossibilità di venire a capo del guazzabuglio pachistano, adesso anche Hamas fa tutto il possibile per indebolirne la strategia globale.

Se ci riuscissero, Hamas e i suoi padrini di Teheran finirebbero per aiutare Washington, che ha lo stesso scopo. Al di là di quanto potrebbe sembrare, non sarebbe in verità una grossa sorpresa: infatti, quando si è fisiologicamente incapaci di far politica, si finisce spesso – quasi sempre – per aiutare i propri nemici.

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