Anche gli Stati Uniti guardano con interesse alle elezioni europee, dato che la Commissione guidata da Ursula Von der Leyen è stata un’alleata chiave della Casa Bianca nel sostegno militare all’Ucraina.

Vista attraverso gli occhi di Joe Biden, la sostanziale tenuta del centro governante è una buona notizia. Ci sono però dei motivi di speranza anche per il suo avversario alle prossime presidenziali Donald Trump, rappresentati dall’avanzata delle destre radicali.

La vittoria di Marine Le Pen (che pure aveva criticato i raid in Siria lanciati nel 2017) è un ottimo segnale per un’eventuale ritorno alla Casa Bianca del suo ex inquilino. Specie se la leader del Rassemblement National riuscirà a diventare prima ministra dopo le elezioni legislative francesi dei prossimi 30 giugno e 7 luglio.

Modello ungherese

Uno dei motivi che fa capire il riavvicinamento tra il tycoon e una certa destra radicale europea però è la presenza di alcuni politici all’ultima riunione europea del Cpac che si è tenuto in Ungheria il 25 e il 26 aprile, una grande kermesse che ha riunito la destra euroamericana in un unico evento ospitato e presieduto da un leader politico come il premier ungherese Viktor Orbán, un modello di democrazia post-liberale.

In un certo senso, il parlamentarismo illiberale del governo di Budapest ha rappresentato un’anticipazione del trumpismo, quindi logicamente sono alleati naturali. Non è un caso che nel suo ultimo viaggio negli Stati Uniti a inizio marzo, lo stesso Orbán abbia incontrato solo Trump e non Biden.

Analizziamo comunque le presenze al Cpac: c’era il Rassemblement National con la presenza di Fabrice Leggeri, ex capo della discussa agenzia europea Frontex, che si occupa delle controllo delle frontiere ed è stata accusata di fare respingimenti di migranti in violazione delle stesse leggi europee.

Non manca ovviamente il Partito Diritto e Giustizia polacco, che, anche se sconfitto sia alle Europee che alle ultime elezioni politiche rappresenta la principale forza d’opposizione al governo europeista di Varsavia e può ancora contare sul presidente Andrzej Duda, che anche lui ha incontrato Trump negli scorsi mesi, senza però ignorare Biden.

Tra gli altri alleati, c’è sicuramente il leader spagnolo di Vox Santiago Abascal che ha superato comunque il 9 per cento pur senza sfondare e anche l’ex premier sloveno Janez Jansa, che a fine 2020 si era fatto notare per essere il più noto capo di stato estero a sostenere apertamente la bufala delle “elezioni rubate” a Trump.

Il panorama italiano

E per l’Italia? Di sicuro la Lega non ha mai fatto mistero di guardare apertamente a Trump come modello di riferimento e infatti il suo leader Matteo Salvini ha difeso sempre il tycoon anche di recente dalla «persecuzione giudiziaria», mentre Giorgia Meloni, che pure aveva presenziato alla riunione del Cpac in Florida nel 2022 come ospite d’onore, di recente ha molto curato i rapporti con Joe Biden per ragioni istituzionali.

Al Cpac ungherese però c’era il deputato di Fratelli d’Italia Antonio Giordano e gli analisti concordano sul fatto che, nel caso ci sarà una seconda amministrazione Trump, i rapporti saranno cordiali con la premier italiana.

Difficile però che la questione del sostegno all’Ucraina possa unificare la destra europea almeno nell’immediato: la questione del sostegno europeo all’Ucraina, su cui concordano Meloni e i conservatori polacchi, li allontana da Orban e da altre leadership come quella di Marine Le Pen, che pure ha mitigato le sue posizioni. Il dato che emerge in linea più generale però è un altro: anche se non ci sarà la saldatura di fatto, alcune idee dei conservatori sono state fatte proprie dai popolari, a cominciare dai controlli alle frontiere e a un generale rallentamento della transizione ecologica.

E per citare un editoriale del Washington Post sul tema, durante la prima presidenza di Donald Trump l’Europa sembrava un bastione dei diritti liberaldemocratici, oggi invece sembra che la destra nazionalista non solo sia perfettamente a suo agio nelle istituzioni di Bruxelles, ma che possa aprire una nuova era per le politiche conservatrici nelle democrazie occidentali.

E quindi, se negli anni successivi all’elezione di Trump nel 2016 sono stati i partiti europei a giovarsi del trumpismo, oggi è il tycoon a trovare un’Europa meno ostile alle sue politiche che potrebbe dargli una spinta tra le fila di quegli elettori troppo scettici nei suoi confronti. Se funziona a Bruxelles, può funzionare anche a Washington.

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