Laura Maria Caterina Bassi è stata la prima donna in Italia a ottenere una cattedra universitaria. Nel 1732, dopo la laurea in filosofia, ha tenuto la sua prima lezione all’archiginnasio.

I suoi studi si sono presto allargati grazie agli insegnamenti del professore di fisica sperimentale Bartolomeo Beccari e a quelli del matematico Gabriele Manfredi. Ma era il Settecento e nascere donna non era come nascere uomo. Il Senato, infatti, le aveva vietato causa sexus di tenere lezioni pubbliche quotidiane. Quindi, insieme al marito, ha deciso di creare un laboratorio in casa e di tenere corsi domestici di fisica sperimentale. Grazie all’autorevolezza acquisita nel tempo, il Senato bolognese nel 1776 tornò sui suoi passi, assegnandole il posto di docente di fisica sperimentale nell’Istituto delle scienze.

Bassi è stata solo la prima di tante altre ad aver intrapreso una carriera di successo nella scienza. Ma, guardando l’andamento nel tempo, le donne si sono approcciate all’ambito scientifico con più frequenza solo molto più tardi. Ed è per questo che delle prime ricordiamo ancora oggi nomi e cognomi.

Tra le più note c’è Ernestina Paper, la prima laureata in medicina in Italia. Era nata a Odessa, ma aveva studiato a Zurigo, poi si era iscritta alla facoltà di Pisa e aveva conseguito la specializzazione a Firenze. Si chiamava Ernestine Puritz Manassé, ma aveva adottato il cognome del marito avvocato Giacomo Paper. Anche in tempi più recenti le donne nella scienza hanno ancora fatto rumore in un mondo principalmente maschile, basti pensare all’astrofisica Margherita Hack e alla neurologa Rita Levi Montalcini.

Le discipline Stem

Le donne sono state a lungo quasi completamente escluse dagli ambienti accademici, ma non era tanto una questione di leggi. Come ricordano Dalla Casa e Tarozzi nel libro La presenza femminile dal XVIII al XX secolo, in Italia bastavano le consuetudini culturali e religiose per lasciarle fuori. E, nonostante i progressi, le radici culturali – e i pregiudizi che ne conseguono – giocano un ruolo fondamentale anche oggi nella formazione e nella crescita. Tutti gli anni l’11 febbraio ricorre la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza per ricordare che è ancora necessario «aumentare la consapevolezza e sensibilizzare l’opinione pubblica verso le disparità di genere nel campo e il libero accesso di donne e ragazze alla ricerca».

Nonostante nei secoli la situazione sia migliorata, l’Organizzazione delle Nazioni unite denuncia che «le donne ricevono in genere borse di ricerca più piccole rispetto ai loro colleghi maschi e, sebbene rappresentino il 33,3 per cento di tutti i ricercatori, solo il 12 per cento dei membri delle accademie scientifiche nazionali sono donne».

Secondo i dati del Global gender gap report 2023, le donne costituiscono quasi la metà (49,3 per cento) dell’occupazione negli ambiti non scientifici, ma solo il 29,2 per cento di tutte le persone che sono impiegate nei settori Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Se si guarda nello specifico al campo dell’intelligenza artificiale, il dato scende al 22 per cento. Ma questo divario non compare per la prima volta sul posto di lavoro, al contrario è visibile già dai primi anni di scuola. Nell’ultima rilevazione Ocse-Pisa, l’Italia si è classificata come il paese con i divari di genere più ampi in matematica, pari a 21,1 contro il 9,1 della media Ocse.

Di conseguenza, dalla scuola primaria e secondaria le differenze si ripropongono nella scelta del percorso di studio specialistico. In Italia, le donne iscritte all’università sono più degli uomini (58,7 per cento contro il 41,3), ma la situazione si inverte e peggiora prendendo in considerazione l’ambito scientifico. Il rapporto 2023 di Almalaurea evidenzia che tra i laureati in materie Stem il 59,1 per cento è rappresentato da uomini rispetto al 40,9 per cento composto da donne. Se si analizzano informatica e tecnologie Ict, ingegneria industriale e dell’informazione, la presenza maschile supera i due terzi. In aggiunta, nonostante si laureino con voti migliori e in minor tempo, le donne non ottengono in media gli stessi risultati degli uomini sul posto di lavoro.

Le motivazioni

Un tempo si dava la colpa alla biologia, oggi si ritiene che le donne scelgano in misura minore le discipline Stem a causa di ragioni personali, culturali e del background familiare. In particolare, l’indagine Ocse-Pisa ha sottolineato che «i genitori sono propensi a pensare che i loro figli maschi più che le figlie lavoreranno in futuro in un settore scientifico, tecnologico, nel campo ingegneristico o della matematica – anche quando i figli maschi e femmine ottengono lo stesso livello di risultati in matematica».

Molti genitori proiettano – la maggior parte delle volte inconsapevolmente – aspirazioni sui propri figli, che condizioneranno il loro futuro e la percezione di sé. Le abitudini culturali, inoltre, fanno in modo che l’immagine di una qualsiasi donna sia spesso associata a quella di madre, escludendo o limitando di conseguenza il ruolo di lavoratrice, soprattutto in ambito scientifico. Anche la presenza numericamente inferiore di chimiche, dottoresse, fisiche e biologhe nei libri scolastici e nella storia studiata a scuola rispetto ai corrispettivi maschili gioca un ruolo importante nell’immaginario collettivo e nell’immaginazione di sé messa in atto dalla bambina.

Le conseguenze sul futuro

Le discipline Stem acquisiranno sempre più importanza nei decenni a venire. Essendo un campo in grande espansione rappresenta un’opportunità anche dal punto di vista lavorativo, che però non può essere colta in egual modo se le donne non hanno accesso come gli uomini a determinati ambienti. Oltre a rappresentare i lavori del futuro, sono e saranno anche quelli che garantiranno maggiori possibilità di carriera e un ritorno economico superiore. Se le donne non saranno coinvolte al pari degli uomini il rischio è che il divario di reddito si amplifichi sempre di più e che si continui la diffusione di alcuni stereotipi.

I pregiudizi che si creano in famiglia e sui banchi di scuola non si esauriscono nei primi anni di vita, ma hanno la capacità di influenzare le scelte che ogni giovane donna compie in relazione al proprio futuro. Per questo ragionare sulle generazioni del presente significa investire anche sul domani per garantire un mondo in cui sia normale che le bambine sognino di diventare scienziate.

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