Nessuno sa realmente, allo stato attuale, quale sarà la sorte dei giochi olimpici di Tokyo, la cui cerimonia di apertura continua a essere confermata per il prossimo 23 luglio. Il confronto con la pandemia, tuttavia, non è stato semplice per il Giappone, al punto che alla fine di maggio il governo ha ritenuto opportuno estendere lo stato di emergenza – e le relative restrizioni, come la chiusura anticipata dei locali e l’imposizione di un tetto massimo di partecipanti ad eventi pubblici – fino al 19 giugno, a sole cinque settimane dall’apertura dei Giochi; nel 2020, sempre a causa del Covid-19, furono rimandati di un anno.

Gli organizzatori hanno dichiarato che solo al termine dello stato di emergenza potrà essere deciso se dare la possibilità al pubblico giapponese di assistere alle competizioni, mentre ciò non sarà possibile per coloro che non vivono stabilmente nel paese. È significativo che, in base a stime recenti, più del 70 per cento dei giapponesi ritenga che i Giochi debbano essere annullati, ma la posizione del Comitato olimpico internazionale (Cio) è stata sinora risoluta: si va avanti, nonostante i problemi evidenziati dal Giappone con la somministrazione dei vaccini anti-Covid; circa il 10 per cento della popolazione – che ammonta a 126 milioni di persone – ha finora ricevuto almeno la prima dose.

Chi decide e come

La questione sostanziale è data dal fatto che l’unico attore in possesso della facoltà di decidere per la cancellazione dell’evento è lo stesso Cio; nel caso in cui Tokyo decidesse unilateralmente di procedere all’annullamento dei Giochi andrebbe sicuramente incontro ad ingenti penali. Di certo le compagnie assicurative interverrebbero per salvare gli organizzatori dalle disastrose conseguenze economiche, ma i costi indiretti – quelli, per esempio, sopportati da alberghi o ristoranti in vista della ricezione dei turisti da ogni parte del mondo – sarebbero incalcolabili. Senza dimenticare, peraltro, che il calendario sportivo è sempre molto denso di appuntamenti e che i Giochi invernali, organizzati dalla Cina, con cui esiste una forte rivalità regionale, avranno inizio a febbraio 2022.

Oltre agli ingenti problemi di tipo organizzativo, in questi giorni il Giappone deve difendersi dai colpi sferrati da un altro vicino, la Corea del Sud. I rapporti politici tra i due paesi non sono mai stati idilliaci: i coreani non hanno mai dimenticato né perdonato i soprusi subiti nel corso della colonizzazione della penisola ad opera dei giapponesi tra il 1910 e il 1945 e, soprattutto, non hanno mai accettato la disputa apertasi con Tokyo sulla sovranità sul gruppo di isole conosciute internazionalmente come le Rocce di Liancourt (ma denominate dai coreani Dokdo e dai giapponesi Takeshima). Il piccolo gruppo di isolotti, situato nel Mar dell’Est, è amministrato, sin dal 1953, dai coreani, anche se, praticamente da sempre, è in atto un contenzioso con i giapponesi, i quali sostengono che le isole sono da considerarsi incorporati alla prefettura di Shimane e, quindi, illegalmente occupate dai coreani. I motivi di tale disputa sono certamente di natura storica, ma presumibilmente legati anche alla pescosità delle acque circostanti e alla possibile presenza in quella zona di giacimenti di gas naturale e altre risorse minerarie.

Giochi geopolitici

Negli scorsi giorni, comunque, il comitato organizzatore dei giochi olimpici ha pubblicato sul proprio sito una mappa in cui le Liancourt venivano incluse, senza lasciare spazio a fraintendimenti, nel territorio giapponese, scatenando così l’ira dei sudcoreani ed esacerbando ulteriormente le relazioni tra i due paesi. La reazione sudcoreana si è sostanziata nella richiesta indirizzata dal ministero degli Esteri all’ambasciata giapponese a Seoul di modificare immediatamente la mappa; la richiesta, tuttavia, è stata giudicata irricevibile, considerato che la posizione del governo giapponese su quei territori non è cambiata. A supporto della posizione dell’ambasciata è giunto anche il pronunciamento del segretario di gabinetto di Tokyo, il quale ha confermato che la mappa non sarebbe stata sottoposta ad alcuna modifica, aggiungendo che Takeshima costituisce parte integrante del territorio giapponese sulla base delle evidenze storiche e del diritto internazionale. A quel punto, l’opinione pubblica sudcoreana ha preso a fare pressione sul governo di Seoul affinché misure più stringenti fossero immediatamente adottate. Il governo sudcoreano, quindi, ha inoltrato – al governo giapponese e al Comitato olimpico – la richiesta di gestire la questione allo stesso modo di quanto successo in occasione delle Olimpiadi invernali del febbraio 2018 ospitate dalla città sudcoreana di Pyeongchang: in quel caso, infatti, i giapponesi chiesero con forza che dalla cosidetta “bandiera della pace” – che accomunava sotto un singolo vessillo le squadre di entrambe le Coree – fosse eliminata la raffigurazione delle isole contese. Il governo coreano, sotto consiglio del Comitato Olimpico, che raccomandò di tenere le questioni politiche slegate dalla competizione sportiva, decretò di ritoccare la propria bandiera, scatenando però l’ira di numerosi gruppi sociali, che considerarono la decisione come un vero e proprio asservimento alla volontà dei nipponici. Tre anni dopo le parti sembrano essersi rovesciate, anche se i giapponesi hanno deciso di tenere un atteggiamento diverso da quello assunto allora dai coreani. Secondo alcuni, l’immobilismo ed il silenzio del Cio su questa questione sarebbero dovuti principalmente alle sovvenzioni: tra le 13 grandi società che hanno sponsorizzato i Giochi Olimpici (quindi anche quelli invernali) negli ultimi tre anni ne figura solo una coreana – la Samsung – mentre le giapponesi sono ben tre (Bridgestone, Panasonic e Toyota).

In Corea molti gruppi sociali e varie fazioni politiche si sono attivate per chiedere al proprio governo di assumere una decisione ferma, suggerendo addirittura la possibilità di arrivare al boicottaggio dei Giochi anche se Seoul sembra fermamente intenzionata a non giungere ad un così drastico provvedimento. De Coubertain sosteneva che lo sport ha delle regole ma non ha barriere date dal colore della pelle, dal credo religioso, dalla nazionalità o dal ceto sociale; di certo non aveva preso in considerazione le rocce.

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