Con una formula non del tutto corretta, potremmo dire che ogni mutazione del virus originale è una sorta di “errore” o un “adattamento”, che si verifica in particolare casi durante un’infezione. Significa che le varianti del Covid-19 sono più probabili quando il virus è libero di circolare, non è frenato dai lockdown o dall’immunità ottenuta con altre infezioni o dagli ostacoli imposti dal vaccino.

Fuori dalla teoria, questo rischio si sta verificando in maniera molto pratica in Cina, e questo spaventa gli scienziati del mondo. La domanda è semplice e inquietante insieme: le nuove ondate potrebbero scatenare una nuova variante, che poi rischierebbe di contagiare il mondo? In breve, la risposta è che scientificamente non si può sapere. Ma il rischio c’è.

Lo spiega all’Associated Press Stuart Campbel Ray, esperto di malattie infettive alla Johns Hopkins University: «La Cina ha una popolazione molto numerosa e l’immunità è limitata. E questo sembra essere il contesto ideale per la nascita di una nuova variante». Teoricamente, ogni nuova infezione offre al Covid-19 la possibilità di mutare. Ogni occasione in più aumenta le probabilità.

Zero Covid

(Chinatopix Via AP)

Facciamo un passo indietro. Il Covid-19 è nato proprio in Cina, nella zona di Wuhan, e da lì si è diffuso nel mondo. Però, fin dall’inizio, il governo ha cercato di frenarlo con controlli stringenti e con il lockdown più estremo al mondo. La cosiddetta politica del “Covid zero” ha trasformato la vita in Cina per più di due anni e mezzo. Dal punto di vista clinico (tralasciando quindi le conseguenze sociali ed economiche), ha funzionato.

Però non poteva continuare per sempre. O almeno, così hanno pensato i cinesi che nelle scorse settimane hanno protestato chiedendo un cambio di rotta, e in alcuni casi individuando il responsabile diretto in Xi Jinping – il potentissimo presidente, appena rieletto alla guida del Partito comunista.

E così un cambio di rotta c’è stato davvero. Le restrizioni sono diminuite e molte persone si sono trovate senza più protezioni. I vaccini cinesi sono risultati meno efficaci rispetto a quelli “occidentali”, senza considerare che molte persone non hanno fatto richiami nell’ultimo anno.

L’evoluzione del virus

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Se anche non ci fidassimo della teoria, non ci rassicura la pratica di quello che è successo negli ultimi anni. Spesso a una nuova ondata di infezioni – è successo nel Regno Unito, in Sudafrica e in India – è corrisposta una nuova variante. E non c’è nessuna ragione biologica per credere che un virus debba sempre seguire la strada migliore per noi, quella della minore contagiosità e della minore gravità.

Gagandeep Kang, che studia i virus al Christian Medical College di Vellore, in India, ha detto all’Ap che bisognerà capire se il virus seguirà lo stesso modello di evoluzione in Cina come nel resto del mondo. Anche perché i vaccini cinesi utilizzano una tecnologia diversa, più antica e meno efficace rispetto a quelli a rna messaggero. «Non sappiamo se il modello d'evoluzione sarà completamente diverso».

Tracciamento e trasparenza

La preoccupazione del mondo è ovviamente la stessa anche per la Cina, che sta investendo molto in un programma di tracciamento che possa individuare prima possibile eventuali varianti. È stato creato un database genetico nazionale nazionale per un «monitoraggio in tempo reale». 

I dati però non sono così trasparenti verso l’esterno e i timori per una certa reticenza sono fondati. La commissione sanitaria nazionale cinese – che ha un ruolo simile al nostro ministero – ha annunciato che non pubblicherà più i dati giornalieri sui casi e sui decessi da Covid, senza fornire ulteriori spiegazioni. Non è la prima volta che succede: una scelta simile era stata fatta a inizio 2020.

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