A Tbilisi la bandiera dell’Unione europea è divenuta ancora una volta il vessillo di una battaglia per la democrazia, lo stato di diritto e il progresso.

Le immagini che vediamo scorrere in queste ore sugli schermi di tutto il mondo ci fanno ritornare alla mente la rivolta della dignità che attraversò Kyiv e l’Ucraina nel 2013.

Come gli ucraini anche i georgiani sono in piazza per il futuro e la tenuta di tutta l’Unione, perché il cavallo di Troia della legge contro le influenze straniere è un progetto contrario a tutto il nostro sistema valoriale e alla sicurezza dell’intero continente.

La notizia del ritiro di questo progetto di legge è certamente una buona notizia, ma non è sufficiente. Il governo gerogiano deve concretamente riprendere l’attuazione dell’agenda delle riforme che si era impegnato a realizzare insieme all’Unione europea.

Se da un lato l’approccio normativo ha definito le relazioni tra Bruxelles e Tbilisi, creando i presupposti per un ingresso nell’Unione, dall’altro l’aggravamento dello stato di salute della democrazia georgiana ci racconta quanto, come nella vicenda ucraina, Mosca possa compromettere un futuro stabile per un paese del Caucaso meridionale che più di altri ha subito continui processi di arresto della propria evoluzione democratica.

Dopo l’invasione russa nel 2008, Mosca ha favorito la creazione di legami informali e basati sulla corruzione volti ad accrescere il controllo del Cremlino sul paese, forme di influenza che si allargano a macchia d’olio in paesi con uno stato di diritto e istituzioni deboli.

Questo ha condotto ad una sorta di contrapposizione dialettica tra le mire del Cremlino e l’impegno dell’Unione per trasparenza, stato di diritto e rafforzamento delle istituzioni.

La situazione si aggrava ancora di più alla luce delle dichiarazioni russe. La brutale aggressione di Putin all’Ucraina ha infine rivelato la vera essenza della leadership del Cremlino e le sue mire imperialistiche.

Il recente cambio di passo della politica estera russa in questa regione insieme alla vicinanza di basi militari al confine georgiano, nei territori dell’Abkhazia e di Tskhinvali/Ossezia, sono minacce concrete e non possiamo escludere l’uso di pressioni militari – o ancora peggio – da parte di Mosca. 

La partita tra Russia e Unione europea si gioca anche in Georgia, e per questo occorre articolare una strategia che consideri anche la dimensione propriamente securitaria.

Alla visione strettamente normativa deve seguire una maggiore consapevolezza sul ruolo internazionale dell’Ue e di come il caso georgiano diviene un banco di prova per la protezione dei valori democratici e della difesa della stessa sicurezza europea.

In queste ore, le piazze georgiane ci chiedono ancora una volta di decidere da che parte della storia stare e di considerare che è a est che si gioca il futuro della nostra democrazia liberale e che nella reazione che sapremo imprimere al tentativo di negare l’allargamento dei diritti e delle libertà verrà giudicata dalla storia la nostra fedeltà a quel percorso di integrazione europea che non è più revocabile.

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