Il cambiamento è più difficile di quanto pensassimo»: ha usato queste parole il presidente della Colombia, Gustavo Petro, in una recente intervista sul País, per rappresentare le difficoltà che sta incontrando il suo governo nel fare avanzare le riforme. Un’ammissione che ben descrive la complessità del clima politico che si vive in quei paesi del Sudamerica che, tra la fine del 2021 e l’estate del 2022, hanno affidato il loro futuro a una nuova sinistra nata nel conflitto sociale.

Un impedimento apparso palese nelle recenti elezioni per la costituente cilena, che ha visto il trionfo dell’estrema destra e la sinistra di Gabriel Boric ridotta ad appena secondo partito. Qualcosa che è visibile da tempo nell’Argentina di Alberto Fernández, in cui i sondaggi per le elezioni politiche e presidenziali del prossimo autunno vaticinano la sconfitta peronista di marca kirchnerista e la vittoria dello schieramento conservatore. E che accompagnerà presumibilmente tutto il mandato di Lula in Brasile, dove il bolsonarismo senza Bolsonaro è ancora molto radicato nella società e nelle istituzioni.

Resistenza al cambiamento, maggioranze non consolidate, persistenza delle diseguaglianze: queste alcune delle ragioni che favoriscono un’estrema polarizzazione politica, presente in larga parte del mondo, ostacolando il dispiegarsi di programmi di trasformazione sociale.

Il recente caso delle elezioni cilene per la costituente è, in questo senso, paradigmatico. Ci si chiede infatti come sia potuto accadere che, nel giro di appena un anno e mezzo, dal trionfo di Boric nelle presidenziali del novembre 2021 si sia passati alla vittoria dell’estrema destra di José Antonio Kast nell’elezione dello scorso 7 maggio. Col paradosso che l’unico leader che ha difeso l’intangibilità della Costituzione del dittatore Pinochet guiderà ora la redazione di una nuova Carta Magna.

C’è chi sostiene che nelle nazioni giovani, ciò che altrove è successo in anni lì accade in mesi. Questo spiegherebbe in parte la velocità nell’avvicendamento dei cicli, se è vero che nella storia a un’ondata di cambio in una certa direzione ne segue in genere una in direzione opposta.

Le ragioni degli altri

Il cambiamento provoca sempre una resistenza, sostiene Petro. Ed è una resistenza portata avanti da un gruppo di potere privilegiato che si è arricchito alle spalle dello Stato e che si è impadronito della comunicazione.

Senza andare molto più lontano, l’opposizione al cambiamento il presidente colombiano l’ha verificata tra le sue file, in alcuni partiti della sua maggioranza di governo che si sono espressi pubblicamente o hanno votato contro la riforma del sistema sanitario, uno degli obiettivi prioritari della legislatura. Alla fine, la riforma è comunque passata in commissione parlamentare per un voto, ma il suo cammino si presenta accidentato.

Anche in Cile le riforme avanzano con difficoltà: quella fiscale è stata bocciata dal Congresso col concorso di parte della maggioranza di governo. Il tema della sicurezza dei cittadini sta diventando centrale, il malessere che si era espresso nell’estallido social del 2019 non ha ancora trovato risposte. La prima costituente del maggio 2021, paritaria tra donne e uomini, con 17 rappresentanti delle popolazioni indigene, il 60 per cento dei consiglieri eletti fuori dei partiti tradizionali, aveva redatto un testo di Costituzione tra i più progressisti al mondo.

Fu bocciato nel referendum popolare col 60 per cento dei voti contrari pochi mesi dopo l’elezione di Boric, per tante ragioni, compreso il discredito che si guadagnò la costituente per i vari scandali occorsi durante i suoi lavori. Ma anche per la forte campagna esterna che gli si agitò contro, le fake mandate in giro e soprattutto perché non se ne seppe spiegare il contenuto e l’ambizione a una popolazione attanagliata da necessità apparentemente più concrete.

E Boric ora chiede a Kast di non cadere nello stesso errore in cui caddero loro, riconoscendo che la sconfitta di allora si dovette anche alla mancanza di volontà di ascolto delle ragioni degli altri.

Alla prova del governo

Le ultime elezioni presidenziali in Sudamerica sono state vinte da coalizioni molto ampie, partiti di diverse ideologie tenuti insieme dal comune obiettivo di battere il fascismo e ristabilire la democrazia. Solo perciò è stato possibile sconfiggere Bolsonaro, avere per la prima volta un presidente progressista in Colombia e aspirare a una nuova stagione di diritti sociali in Cile.

Nelle ultime elezioni costituenti cilene, proprio la separazione in due liste della maggioranza di governo ha favorito la sconfitta, rendendola più drammatica. Si tratta di maggioranze costruite sull’onda delle mobilitazioni popolari, ma che alla prova di governo appaiono fragili, non consolidate.

L’estallido social del 2019 esprimeva un malessere e una volontà di cambio, non necessariamente un’ideologia concreta. Perciò Petro invita ora la popolazione a mobilitarsi, a esprimersi sulle riforme, a riprendersi quel ruolo di protagonista, indispensabile per la trasformazione del paese.  

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