In un momento a buon diritto definito storico della storia di Israele e dell’ebraismo tutto, stupisce il silenzio quasi assoluto delle comunità ebraiche italiane. Tra le prese di posizione ufficiali, si registra solo un assai tardivo e scarno (da minimo sindacale) comunicato della presidente Noemi Di Segni, che si può trovare sul sito moked.it.

A questo si aggiunge l’assenza di un dibattito fra gli intellettuali, anche perché, dalle dimissioni dell’ex direttore delle testate Ucei Guido Vitale, manca il coordinamento necessario affinché un dibattito simile possa svolgersi.

Assenza di un piano editoriale che ha suscitato le rimostranze della stessa redazione giornalistica, che denuncia ritardi e mancanza di risorse nella pianificazione del nuovo corso dell’informazione ebraica italiana.

Il vizio, però, è di più lungo corso, se è vero che un analogo silenzio si era registrato nel 2018, anno di approvazione di quella tanto odiosa quanto inutile legge che era la Legge della nazione.

Una nobile eccezione è venuta da un comunicato dell’Associazione giuristi e avvocati ebrei d’Italia, con un appello a firma del suo presidente Ariel Dello Strologo. Il silenzio generale è stato interrotto da un’intervista di Fiamma Nirenstein alla rivista della comunità ebraica di Roma Shalom.

La stessa Nirenstein, con un passato remoto a sinistra in cui aderiva agli appelli critici contro Israele per la guerra del Libano del 1982, dalla terribile seconda intifada da lei vissuta come inviata a Gerusalemme, è tra le più autorevoli rappresentanti di quella che, per amor di sintesi, possiamo definire destra ebraica italiana.

Già parlamentare del Popolo delle libertà in nome della difesa di Israele, è stata anche in lizza per il ruolo di ambasciatrice di Israele in Italia per nomina dello stesso Netanyahu. Carica poi sfumata per ragioni di opportunità. Gli argomenti di Nirenstein riguardo il passaggio che si sta vivendo in Israele ricalcano lo spartito seguito dalla destra politica di questi anni: minimizzazione e omissione.

Nel corso dell’intervista l’ex parlamentare ha gioco facile nel ricordare che molti esponenti dell’opposizione in passato avevano contestato la clausola di ragionevolezza abolita la settimana scorsa dalla Knesset, che consentiva alla Corte Suprema di intervenire su nomine governative. Un meccanismo che garantiva rispetto al fossilizzarsi di clientele corruttive, ma che certo lasciava alla Corte ampio, per alcuni troppo, margine di manovra.

Le omissioni

Il problema è che nell’intervista si omette totalmente come questa sia solo la prima tappa di un processo di revisione dell’equilibrio dei poteri dello Stato, che ha come esplicito obiettivo la riforma della nomina dei giudici della Corte, in modo tale, anche questo spartito già suonato altrove, da sottometterla all’esecutivo.

Stupisce la dimenticanza, visto che fino all’altro ieri si era parlato proprio della nomina dei membri della commissione per l’elezione dei giudici, punto nevralgico su cui si giocano i destini della riforma.

Un buttare il sasso e ritrarre la mano che omette anche l’infinita serie di dichiarazioni di membri del governo o della maggioranza di stampo razzista, omofobo, suprematista, parte di una strategia tutta orientata verso l’Israel Shelemà, il Grande Israele dal Mediterraneo al Giordano che ha come corollario annessione e subordinazione della componente arabo-palestinese. Così come si sorvola sul passato di molti ministri residenti negli insediamenti in Cisgiordania, di cui hanno assorbito la mentalità e il progetto politico.

Su tutti gli ormai notissimi Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Per tutti, la Corte, garante degli ideali universalitico-egualitari su cui si è costruito lo Stato ebraico, è l’ultimo ostacolo alla realizzazione dei propri obiettivi, esattamente come lo è, ma qui il discorso si fa un po’ più sottile, per salvare le sorti del premier Netanyahu imputato in diversi processi.

La linea tenuta da Nirenstein, ripeto, rappresentativa di una destra ebraica presente anche in Italia, spiace ancor di più perché il sostegno alle oceaniche, spettacolari e del tutto pacifiche proteste in atto da settimane sarebbe l’occasione per smentire quelle ataviche posizioni, purtroppo ancora presenti nella sinistra europea, che hanno colto l’occasione per identificare la svolta nazionalista di Netanyahu come l’esito naturale del sionismo.

Il solito argomento dell’incompatibilità fra ebraicità e democrazia. Nelle piazze di Tel Aviv, Gerusalemme e di tutto Israele si sta dimostrando esattamente il contrario: il sionismo incorpora gli ideali democratici europei.

Per restare fedeli alla propria visione ideologica, si sceglie, invece, di offrire argomenti all’antisionismo, come certificato dalle agenzie dedicate, uno dei maggiori canali di ritorno dell’antisemitismo.

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