Andreas Malm è uno storico del clima di origine svedese. È docente associato di ecologia umana a Lund. Questa intervista è parte di una serie realizzata da The New Institute di Amburgo.

Che rapporto c’è tra il Covid e la crisi climatica?
È un rapporto su livelli diversi. Il coronavirus, il Sars-Cov-2, è solo uno dei tanti episodi degli ultimi anni di malattie infettive che dal mondo animale si sono riversate in quello umano. Questa tendenza è legata a una tendenza simile all’aumento delle temperature. Fanno parte della stessa crisi ecologica: potremmo chiamarlo malattia globale o riscaldamento globale. 

Qual è la connessione precisa? 
Hanno in comune alcuni fattori trainanti, soprattutto la deforestazione, che è la seconda causa principale delle emissioni di gas serra nel mondo. Il riscaldamento globale determinerà una maggiore diffusione zoonotica, spingerà gli animali alla migrazione, compresi i pipistrelli che sono portatori di virus. Tendono a entrare in contatto con la popolazione umana con cui non sono stati in contatto prima. Se vogliamo evitare altre pandemie, dobbiamo fermare la deforestazione, invertire la rotta, e preoccuparci del riscaldamento globale.

Qual è la causa di entrambi?
La ragione è il nostro modo di dominare la natura, caratteristico del capitalismo: la compulsione del capitale di piegare la natura incontaminata in campi di produzione di varie merci. E controllare la natura e la produzione di materiali con l’arma dei combustibili fossili permette al capitale di esercitare un alto livello di controllo sui flussi di materiali, cosa che non era possibile con le energie rinnovabili che hanno preceduto i combustibili fossili. Le società dovranno cambiare o saranno condannate ad avere altri di questi disastri.

Il Covid è segno che siamo a un punto di rottura? 
La situazione è cronica. Che non significa che sia stabile. Il riscaldamento globale è per definizione cumulativo, un processo intrinsecamente deteriorante. Peggiora finché non viene bloccato e invertito. E non si tratta di una condizione con cui possiamo convivere per sempre. Chiaramente i sistemi economici spingono fortemente i sistemi naturali e qualcosa poi si spezza. Le società dovranno cambiare o semplicemente saranno condannate ad avere sempre più di questi disastri. 

Si è discusso molto, specialmente all’inizio della pandemia, che ora è il momento in cui le società possono cambiare. Possiamo imparare qualcosa da questo periodo?
Una lezione: gli stati possono intervenire negli affari come sempre e fare incursioni piuttosto drammatiche nella proprietà privata e nei mercati e chiudere alcune determinate attività economiche perché dannose. Questa è una vera lezione che il movimento per il clima e i suoi alleati dovrebbero usare d’ora in poi nella propaganda. D’altro canto, le speranze che la via d’uscita da questa crisi di Covid-19 sarà una transizione dai combustibili fossili e una generale ripresa verde fino ad ora sono state deluse. Quando vedi in tutte le relazioni che le economie dei G–20 hanno versato il 50 o 60 percento di denaro in più nei combustibili fossili invece che nelle energie rinnovabili, ti rendi conto: questa crisi sembra essere un’altra opportunità sprecata.

Cosa si può fare per questo?
La rottura con i combustibili fossili e il business as usual non può avvenire senza un impulso proveniente dalla società civile e dai movimenti. Questa pandemia è stata un tempo particolarmente difficile per i movimenti perché tutti si sono rinchiusi in casa. È stato estremamente difficile sfruttare l’opportunità della crisi.

Si può imparare una lezione su come tradurre una protesta politica in azione politica?
Il 2019 ci ha mostrato in una certa misura che questo è possibile. La decisione chiave del 2019 in Germania è stata la commissione del carbone. Anche se la fine del carbone entro il 2038 è una data del tutto inaccettabile per il movimento per il clima, il solo fatto che ci sia stata una commissione per il carbone e le successive discussioni è stato un successo, e si può attribuire direttamente alla mobilitazione di Ende Gelände e di altri movimenti.

Come traduce l’energia di questi movimenti in un impatto reale?
È una domanda da dieci miliardi di dollari. In che modo esattamente si entra in contatto con lo stato? Come ci si assicura che le richieste siano trasmesse all’apparato statale? Lo si ottiene vincendo dei seggi in parlamento o diventando in prima persona lo stato? Oppure da fuori ci si mette a bussare alla porta e a chiedere a quelli dentro - chiunque essi siano – di cambiare la propria politica. Non credo di avere la ricetta pronta per questo.

Nel suo libro sul Covid parla di comunismo di guerra e leninismo ecologico: potrebbe spiegare questi concetti?
Leninismo ecologico: quest’idea è formulata in contrasto con la socialdemocrazia riformista di vecchia scuola da una parte, e l’anarchismo dall’altra. Sostengo che entrambe non siano appropriate al momento. La socialdemocrazia di tipo classico è inappropriata principalmente per la sua forma temporale, in cui le premesse per un riformismo socialdemocratico da Bernstein alla democrazia sociale svedese sono sempre state che può esserci un cambiamento graduale, lento e incrementale perché il tempo è dalla nostra parte, mentre in realtà decisamente non lo è. C’è bisogno di un cambiamento massiccio e improvviso.

E l’anarchismo?
L’anarchismo, d’altra parte, è per definizione ostile allo Stato. Non credo però che le reali soluzioni a nessuna delle crisi che dobbiamo affrontare siano concepibili senza che lo Stato sia un attore centrale. Ora, il leninismo non ha nessuno di questi due problemi, perché il leninismo si basa innanzitutto su un senso di urgenza e impazienza. Quello che Lenin fece durante la seconda metà del 1917 fu ripetere più volte: “Il ritardo è fatale, dobbiamo far cadere il governo provvisorio, ora non possiamo più aspettare”.

Come questo si traduce oggi?
È abbastanza semplice applicarlo al contesto attuale. Il nostro compito strategico nel movimento per il clima, nella sinistra, nelle forze progressiste, è cercare di trasformare quei momenti di crisi, in cui i sintomi diventano evidenti, in una crisi politica diretta alle cause della catastrofe. Dobbiamo trasformare qualcosa come l’estate estrema del 2018 in una crisi dei combustibili fossili e dell’industria dei combustibili fossili. Nel caso dell’attuale pandemia il nostro compito dovrebbe essere quello di trasformarla in una crisi delle aziende che causano la deforestazione. Non è ancora successo.

Un’ultima domanda. Può completare questa frase: per me, il problema della pandemia e del clima è personale perché…?
Non voglio vivere così. Ciò che perdiamo pur essendo essendo esseri umani piuttosto privilegiati sono abbastanza significative. Ad esempio, una vita senza neve è certamente una vita piena di significato e sopportabile, ma è un di meno. In particolare per i bambini.

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