«Abbiamo raggiunto la fine del tunnel e non c’è alcuna luce». Così, il famoso giornalista Walter Cronkite commentava amaramente gli ultimi giorni di Saigon, prima della caduta. In queste ore le immagini della precipitosa fuga americana dal Vietnam si sono spesso sovrapposte a quelle di Kabul. Sebbene si tratti di contesti temporali e geografici diversi, un tratto accomuna i due eventi: il fallimento di una lunga operazione militare a guida statunitense.

Nel caso dell’Afghanistan, accanto a Washington, anche la Nato ed i suoi membri (Italia compresa) hanno fornito un contributo significativo, pagando un elevato prezzo di sangue. Mercoledì il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha evidenziato come il «collasso militare e politico» non fosse prevedibile, ponendosi la seguente domanda: «Perché le forze che abbiamo sostenuto e formato non hanno resistito?».

Già, perché i Talebani hanno conquistato così facilmente Kabul e le principali province? Perché, nonostante anni di addestramento e fiumi di denaro speso, le forze afgane si sono squagliate come neve al sole? Rispondere a queste domande appare fondamentale per comprendere sia i drammatici fatti di questi giorni che due decenni di coinvolgimento occidentale in Afghanistan. Il tema riguarda ovviamente anche l’Italia, che nel corso del tempo ha addestrato (direttamente o indirettamente) più di 20.000 afgani.

La disfatta previdibile

Se la rapidità del collasso delle forze di sicurezza afgane ha comprensibilmente sbalordito un po’ tutti, l’esito invece non può certo apparire sorprendente. Al contrario.

Nel 2015, un professore del US Army War College pubblicava un libro dal titolo inequivocabile (e al contempo profetico): Perché la Forze di Sicurezza Afgane non reggeranno. Leggendo poi gli “Afghanistan Papers” (le centinaia di pagine di interviste e note confidenziali raccolte dallo US Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction e poi rivelate, dopo una prolungata battaglia legale, dal Washington Post nel 2019) emergono non solo i problemi relativi al processo di addestramento delle forze locali ma anche la distanza abissale tra le ottimistiche dichiarazioni ufficiali e la reale consapevolezza dello stato preoccupante delle Afghan national security forces. Parallelamente, era di pubblico dominio il fatto che da tempo i Talebani controllassero una larga fetta di paese, pronti ad avviare una massiccia offensiva una volta ritirate le truppe della Nato.

Gli errori nella gestione

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La sconfitta delle forze armate afgane era tutto tranne che imprevedibile. Tre sono gli aspetti fondamentali che occorre illustrare in dettaglio per capirne il motivo.

Il primo fattore riguarda le difficoltà incontrate in questi anni nel creare e sostenere delle efficaci forze armate, concepite ad un certo punto come il “biglietto per tornare a casa”, come exit strategy dai paesi occidentali. Un report del 2008 del US Government Accountability Office metteva in luce come allora solo il 2 per cento delle unità fosse pronto a condurre una missione. Nel 2009 è stata creata la Nato Trainig Mission e poi, con la fine di Isaf  - International Security Assistance Force – l’operazione “Resolute Support”, principalmente incentrata sull’addestramento e l’assistenza alle forze afgane.

Dopo la disastrosa decisione (anche per le sorti di Kabul) di invadere l’Iraq, e di fronte alla crescente presenza talebana sul territorio, Washington ha avviato (2008-2009) una strategia volta proprio ad incrementare gli effettivi della Afghan National Army, riducendo però la  durata dell’addestramento di base. Corruzione, impreparazione, logistica inadeguata, diserzione, complessi equilibri interni, morale basso, infiltrazione talebana, sono solo alcuni dei problemi endemici delle forze afgane, erroneamente impostate sul modello americano, e quindi dipendenti dal supporto USA.

Nonostante ciò, gli afgani hanno combattuto costantemente e decine di migliaia di soldati (60.000 circa) hanno perso la vita. Al di là del grado di efficacia delle unità sul terreno, ciò che è mancato è stata la creazione di forze armate come una istituzione, con una «adeguata infrastruttura» che potesse sostenere, dalla logistica agli stipendi, i soldati sul campo.

Il contesto politico

A man holds the flag of Afghanistan during a protest in Jalalabad on Wednesday, Aug. 18, 2021. Taliban militants have attacked protesters in eastern Afghanistan who dared to take down their banner and replace it with the country’s flag. At least one person was killed in the attack that fueled fears about how the insurgents would govern this fractious nation. (AP Photo)

Il secondo – e più importante - aspetto che spiega l’implosione delle forze afgane di fronte all’avanzata talebana riguarda la dimensione politica nella quale il problematico processo di addestramento è stato realizzato. Semplicemente, creare “dall’esterno” delle forze armate in un contesto privo da anni di istituzioni statuali è complesso se non impossibile. In generale, nonostante gli Stati Uniti abbiano speso più fondi in Afghanistan che in Europa dopo il 1945 con il piano Marshall il tentativo di nation builiding è stato un fallimento.

La dimensione militare, al di là della retorica, ha sempre avuto la priorità. Come avviene spesso con operazioni di contro-insorgenza, di fronte alle inevitabili difficoltà per le truppe straniere di conquistare “cuori e menti”, si delega la responsabilità alle forze locali, “vietnamizzando” (o appunto “afganizzando”) il conflitto. Lo stesso è avvenuto in Iraq dove, dopo lustri di addestramento, le forze armate si sono evaporate di fronte all’offensiva dell’Isis.

Istituzioni deboli o percepite come prive di legittimità non sono in grado di sostenere le forze sul terreno, in un contesto nel quale lo stato centralizzato è sostanzialmente assente da tempo, segNato da una vasta complessità di attori locali. Nei fatti gli Usa e il governo di Kabul non hanno mai sviluppato una comune strategia per la guerra e lo stesso accordo di pace del febbraio 2020 non prevedeva il governo afgano.

La strategia dei Talebani

Il terzo fattore che aiuta a comprendere il crollo delle forze armate di Kabul riguarda il nemico e la strategia talebana elaborata parallelamente agli accordi con Washington e al ritiro delle truppe della Nato. Le forze armate afgane sono state gradualmente accerchiate nei vari avamposti nei quali erano dislocate. Senza rifornimenti e supporto logistico, l’esercito ha perso terreno mentre i talebani hanno avviato una campagna di omicidi mirati, anche nei confronti dei piloti afgani.

Al netto della capacità di alcune unità (come i commando delle forze speciali), i soldati afgani (300.000 sulla carta, in realtà un numero decisamente inferiore) sono stati sbaragliati o più spesso si sono arresi, sentendosi abbandonati dagli alleati e dall’indebolito e fragile governo. Il morale e la motivazione di combattere (“per chi?”, “per che cosa?”) sono crollati.

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I Talebani da mesi avevano avvitato un fitto e fruttuoso dialogo con gli attori locali che ha consentito loro di entrare in molte province senza combattere. Privi del supporto sul campo, anche solo a livello di deterrenza, dei soldati della Nato, le forze afgane non sono quindi riuscite a contrastare i Talebani. Sebbene negli anni precedenti al ritiro, le forze aree americane avessero sganciato un numero record di bombe sul paese, le capacità degli insorti non sono state fiaccate. L’alto numero di civili ucciso in questi ultimi anni di conflitto, nel buio mediatico occidentale che solo da poco è stato squarciato, si è così aggiunto a centinaia di migliaia tra morti e feriti dall’inizio della guerra.

Un fallimentare processo di addestramento, l’assenza di istituzioni statuali percepite come forti e legittime nonché capaci di supportare le truppe sul campo e l’abilità del nemico di avviare una efficace offensiva una volta ritiratesi le forze occidentali spiegano quindi il crollo delle forze afgane di questi giorni.

L’obiettivo ufficiale della missione Nato Isaf era «assistere le istituzioni politiche provvisorie afgane a mantenere un ambiente sicuro». Le drammatiche immagini dell’aeroporto Kabul aiutano più di molte parole a valutare quanto la realtà sul terreno, nonostante lodevoli sforzi e sacrifici (anche da parte dell’Italia), sia oggi lontana dallo scopo prefisso. La Nato ha perso la guerra.

Per Stoltenberg occorre capire al più presto i motivi della sconfitta e «imparare la lezione». Anche  il Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha sottolineato l’urgenza di «riflettere sull’esperienza avvenuta», guardando anche «al futuro».

La lezione per l’Italia

Proprio questo motivo, a poco più di due mesi  dell’ultimo ammaina bandiera del contingente a Herat, appare urgente avviare un rigoroso processo di analisi delle lezioni apprese. L’operazione in Afghanistan ha visto più di 50.000 soldati italiani avvicendarsi nel paese, con 53 caduti in quella che è stata la più lunga, drammatica e complessa missione mai condotta dalla Seconda Guerra mondiale. Quali risultati sono stati effettivamente raggiunti? Quali errori dobbiamo evitare in futuro? Semplicemente non partecipare più a missioni del genere o farlo in modo diverso?

In altri contesti (come Sahel o Iraq) i soldati italiani sono impegnati in complesse missioni che prevedono l’addestramento di forze locali. La drammatica implosione delle forze afgane può fornire preziose lezioni. Il 24 agosto i ministri deli Esteri e della Difesa riferiranno alle Camere.

La necessità di avviare formalmente - all’interno del parlamento e con il coinvolgimento di forze armate, accademia e associazioni - un ampio processo di riflessione strategica non può essere più prorogato. Altrimenti toccherà, ancora una volta, dare ragione a Hegel, secondo il quale «l’unica cosa che s’impara dalla Storia è che nessuno impara mai niente dalla Storia».


Il popolo afghano negli ultimi quaranta anni ha vissuto sofferenze inimmaginabili. Solo nel 2021 circa 550mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Sono donne e bambini a pagare il prezzo più alto. Unhcr ed Emergency sono ancora in Afghanistan per aiutarli. Ognuno può dare il proprio contributo con una donazione, bastano pochi click.
Per donare a Unhcr: dona.unhcr.it/campagna/afghanistan
Per donare a Emergency: sostieni.emergency.it/dona-ora

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