«Per ogni generazione c’è un momento in cui deve prendere posizione per la democrazia. Per le libertà fondamentali. Io credo che questo sia il nostro momento». Con queste parole, e con un video, Joe Biden ha annunciato la sua ricandidatura alle elezioni presidenziali del 2024. 

Biden ha scelto non a caso questo martedì 25 aprile: sono passati esattamente quattro anni dalla sua discesa in campo nel 2019. All'epoca appariva come velleitaria per un candidato che andava verso i settantasette anni. Il presidente si prepara a sfidare i precedenti per diverse ragioni.

I margini di incertezza

Biden già pochi giorni prima delle elezioni di midterm aveva detto di volersi ricandidare per un secondo mandato, quando non era ancora chiara l'entità della sconfitta dei dem alla Camera e al Senato, poi rivelatasi piuttosto contenuta nei numeri. Inutile negare che uno dei motivi che ha spinto il presidente a decidere in questo senso sia stata la concreta possibilità, che si rafforza settimana dopo settimana, che Donald Trump conquisti nuovamente la nomination repubblicana.

Quindi i numeri piuttosto bassi della popolarità del presidente in carica, che secondo il sito di sondaggi Fivethirtyeight equivalgono grosso modo a quelli di Donald Trump e di Jimmy Carter a questo punto del mandato, entrambi non rieletti, passano in secondo piano. Così come conta relativamente un altro dato registrato da un sondaggio dell'Associated Press, che vede una sostanziale stanchezza dell'elettorato dem, con soltanto il 47 per cento dei rispondenti che vede favorevolmente una sua ricandidatura.

L’usato sicuro

Nonostante questo però, sempre lo stesso sondaggio rileva che l'81 per cento del campione sarebbe comunque disposto a sostenerlo. Meglio quindi rimanere con un presidente che ha dimostrato la capacità di saper unire moderati e  progressisti in modo più efficace di ogni possibile alternativa, compresa la sua vice Kamala Harris, che nel 2019 gestì in modo estremamente caotico la sua breve campagna per le presidenziali del 2020 e che in questi anni ha dimostrato di non saper gestire con efficacia i dossier che le sono stati affidati, primo tra tutti quello riguardante il confine tra Messico e Texas, rimasto ampiamente permeabile non soltanto ai migranti irregolari ma anche ai narcotrafficanti.

Cosa si muove nei dem

Senza contare che già ci sono due sfidanti del presidente nelle primarie dem alquanto fuori dal mainstream, come Marianne Williamson, attivista promotrice della medicina alternativa, e Robert Kennedy Junior, figlio di Bob e nipote dell'ex presidente John Fitzgerald, figura tra le più note della galassia novax. Nell'entourage del presidente però sono noti due possibili punti problematici, che riguardano due segmenti che i dem hanno dato per scontati per troppi anni: i latinoamericani e i maschi afroamericani.

Nel primo caso c'è una novità: la probabile nomina di Julia Chavez Rodriguez a campaign manager. Chavez Rodriguez, classe 1978, attualmente è direttrice dell'ufficio per gli affari intergovernativi, il dipartimento della Casa Bianca che funge da coordinamento con gli enti locali statunitensi, siano essi stati, città o aree tribali nativo-americane. Non solo: è la nipote delle leggendario attivista sindacale Cesar Chavez, noto per le sue lotte in favore dei braccianti agricoli messicani in California. Per quanto riguarda invece il voto afroamericano, rimane sempre maggioritariamente nel campo dem, ma si nota come una percentuale intorno al 20 per cento dei maschi preferisca i repubblicani, anche per una visione di conservatorismo sociale più vicina a loro. Quest'area inoltre appare in crescita anche per la notorietà di figure come il senatore Tim Scott del South Carolina, in procinto di candidarsi alle primarie repubblicane.

Partita in difesa

Anche per questo alcuni esponenti dem pensano che Keisha Lance Bottoms, ex sindaca di Atlanta e fresca di dimissioni dal ruolo di direttrice dell'Ufficio dell'Impegno Pubblico dentro la Casa Bianca, avrà un ruolo fondamentale nel connettere Biden a questa parte di elettori, che negli ultimi anni è stata territorio di conquista dei repubblicani, anche per la riluttanza dei dem nel cercare il loro consenso in modo aggressivo, per timore di alienare l'elettorato.

Una partita che il team presidenziale dovrà giocare in difesa, anche per salvaguardare una fragile maggioranza senatoria di soltanto 51 dem, con diversi esponenti come Joe Manchin che dovranno giocarsi la rielezione in contesti ostili. Ad ogni modo, anche se il messaggio per la rielezione dovrebbe echeggiare il tema della "Storia che fa rima con la Speranza", difficile eliminare il senso di stanchezza nell'opinione per un rematch tra Biden e Trump, due opposti gerontocrati eppure insostituibili nella capacità di unire diversi segmenti di elettorato.

Il tema del rinnovamento quindi appare rinviato al 2028 e non basteranno certo alcuni cambiamenti cosmetici nell'organizzazione della campagna del presidente in carica per ridare entusiasmo a un elettorato che appare più che mai disincantato.

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