L’orribile decapitazione di un insegnante nel sobborgo parigino di Conflans-Sainte-Honorine riporta inevitabilmente l’attenzione sulla minaccia terroristica in Europa.

Ancora una volta un giovane porta a termine un attacco ispirato alla causa ideologica del radicalismo islamico, da solo e apparentemente senza far parte di alcun gruppo armato. Ancora una volta, le armi tipiche della storia del terrorismo (pistole e ordigni esplosivi) lasciano spazio a semplici armi da taglio, facili da acquisire e da utilizzare e dotate di una profonda valenza simbolica: come i raccapriccianti video del cosiddetto Stato islamico hanno potuto tragicamente insegnare, pochi atti terrorizzano e sgomentano di più di una decapitazione.

In questo contesto, la Francia si conferma il paese più esposto al rischio terrorismo di matrice jihadista in Europa e in tutto l’occidente. È nettamente la nazione che ha subito più atti terroristici di questo tipo, quantomeno nell’ultima ondata di violenza iniziata con l’ascesa dello Stato islamico nel 2014 (oltre 30 attacchi).

Sei episodi quest’anno

Soltanto quest’anno si contano già sei episodi che appaiono riconducibili a questa causa estremistica, nonostante le misure di restrizione al movimento delle persone e i controlli eccezionali dovuti alla pandemia. D’altra parte, già alla fine di agosto, il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, aveva dichiarato che la minaccia terroristica rimaneva «estremamente elevata nel paese».

La scena jihadista francese appare inoltre la più ampia in occidente. Secondo il ministero dell’Interno, il database francese dei presunti radicali islamisti considerati pericolosi per la sicurezza nazionale include oltre ottomila individui, di cui circa la metà cittadini stranieri.

A queste migliaia di soggetti già schedati occorre poi aggiungere gli estremisti che finora sono sfuggiti al monitoraggio delle autorità, come lo stesso aggressore di Conflans-Sainte-Honorine. La Francia è di gran lunga il paese occidentale da cui sono partiti più foreign fighters diretti in Siria e Iraq, circa duemila persone (in Italia, per avere un confronto eloquente, risultano essere 144).

Parigi, ben consapevole della minaccia, è da anni particolarmente impegnata nella repressione dell’estremismo violento. Basti pensare che, secondo dati ufficiali, nel 2019 sono state emesse 87 sentenze relative a casi di terrorismo jihadista. Nelle carceri francesi sono già presenti oltre 500 individui condannati per reati di terrorismo, in aggiunta a circa 900 detenuti valutati come radicalizzati.

Subito dopo ciascun attacco terroristico, con (l’ingannevole) senno di poi, emergono indicazioni di presunti errori e manchevolezze delle autorità antiterrorismo; nel caso di questo venerdì, per esempio, si può riflettere sul fatto che l’insegnante abbia segnalato alla polizia le minacce ricevute dopo aver mostrato a lezione le controverse caricature del profeta dell’islam.

Il problema, tuttavia, è ancora più profondo. In uno stato di diritto (cui nessuno vorrebbe rinunciare), monitorare continuamente in via preventiva un numero di sospetti militanti e simpatizzanti estremistici così elevato costituisce davvero una sfida immane. 

Charlie Hebdo e gli appelli di al Qaida

L’esposizione della Francia è aumentata ulteriormente nelle ultime settimane, per una combinazione di circostanze. In primo luogo, all’inizio di settembre, si è finalmente aperto a Parigi, con grande visibilità mediatica, il processo ai presunti complici degli attacchi jihadisti eseguiti tra il 7 e il 9 gennaio 2015 contro Charlie Hebdo ed altri bersagli della capitale francese.

In occasione dell’avvio di questo processo, la redazione del giornale satirico aveva deciso di ripubblicare alcune delle controverse caricature al profeta Maometto che avevano indotto i fratelli Kouachi a realizzare l’attacco del 2015.

La ripubblicazione di queste caricature ha scatenato l’ira e il desiderio di rivalsa di militanti e simpatizzanti jihadisti a livello internazionale. Per esempio, il 10 settembre al Qaida nella penisola arabica, la più potente delle branche regionali affiliate all’organizzazione fondata da Bin Laden, ha diffuso un comunicato ufficiale in arabo che invitava esplicitamente «tutti i musulmani» a vendicarsi contro Charlie Hebdo e sosteneva che la Francia fosse in cima alla lista dei nemici.

Il giorno successivo, in occasione dell’anniversario dell’11 settembre, anche l’organizzazione centrale di al Qaida ha rivolto minacce contro il giornale satirico all’interno di una pubblicazione in inglese. Come si ricorderà, venerdì 25 settembre un giovane pakistano ha aggredito due giornalisti proprio di fronte alla vecchia sede di Charlie Hebdo, non sapendo che dopo la strage del 2015 la redazione del giornale era stata trasferita in una località non nota al pubblico, per ragioni di sicurezza. 

La battaglia al «separatismo islamico»

Si potrebbe aggiungere che l’attivismo dimostrato negli ultimi mesi dal presidente, Emmanuel Macron, a favore di un rafforzamento dei principi di laicità in Francia, contro quello che definisce il «separatismo islamista», potrebbe di fatto essere impiegato per alimentare tensioni e divisioni nel paese.

In particolare, in un discorso pubblico, dai toni assai netti, tenuto il due ottobre, poco giorni dopo l’attacco a Parigi, Macron non si è limitato a difendere orgogliosamente il diritto alla libertà di parola, compreso il «diritto alla blasfemia», ma ha anche descritto l’islam come «una religione che è in crisi in tutto il mondo oggi», sollevando non poche reazioni ostili.

Sebbene l’attenzione per l’estremismo violento nel complesso si sia sensibilmente ridotta a partire dal 2018, la minaccia terroristica, con i suoi percorsi carsici, non è affatto venuta meno in occidente. In questo senso, gli attacchi realizzati in Francia negli ultimi mesi dovrebbero servire da campanello d’allarme anche per altri paesi. 

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