L’Esercito popolare di liberazione (Epl) ha oltrepassato la linea mediana che divide in due lo Stretto di Taiwan, provocando la reazione dei vecchi caccia di Taipei, che si sono alzati in volo, mentre anche le navi e le difese missilistiche dell’isola venivano poste in stato di massima allerta.

La linea mediana fu istituita dagli Stati Uniti nel 1955, dopo che l’Epl strappò ai nazionalisti l’isola di Yijiangshan, a largo della provincia del Fujian. Da allora – per preservare lo status quo –  Pechino non aveva mai spedito le sue forze armate al di là di quel “confine” che pure non riconosceva.

Ma il viaggio di Nancy Pelosi ha incrinato tutti i precedenti accordi su Taiwan tra Pechino e Washington.

Ieri la Cina ha varato sanzioni contro la speaker della Camera dei rappresentanti e i suoi familiari più stretti e decretato la sospensione della cooperazione con gli Stati Uniti sui cambiamenti climatici, sull’immigrazione illegale, sull’assistenza giudiziaria, e sulla lotta al narcotraffico.

Una settantina i jet con la stella rossa e una dozzina le navi cinesi che ieri hanno continuato a circondare Taiwan in risposta allo schiaffo di Pelosi, la terza carica degli Stati Uniti che l’altro ieri ha incontrato le autorità di un paese che per Pechino è un suo territorio, da “riunificare” alla madrepatria.

Mentre l’Epl conduceva il secondo giorno del suo blocco navale simulato (che dovrebbe concludersi domani), la presidenza, il ministero della Difesa e degli Esteri di Taiwan subivano attacchi hacker che ne hanno messo fuori uso i siti internet.

Per individuare con precisione gli obiettivi da colpire in mare con i suoi missili Dongfeng, l’Epl sta utilizzando i droni, che si sarebbero avvicinati anche al Giappone, provocando le proteste di Tokyo.

Il segretario di stato Usa, Antony Blinken, ha sostenuto che «non c’è alcuna giustificazione possibile» per le massicce esercitazioni militari di Pechino.

È una tensione altissima e destinata a durare a lungo quella nel Pacifico occidentale, perché Pechino rivendicherà il diritto di mantenere la pressione militare contro quelle che chiama “autorità secessioniste dell’isola”.

Il racconto della propaganda

E a Pechino si lavora già sulla narrazione di queste giornate, per trasformarle in un racconto trionfalistico come quello sulla «vittoria della guerra popolare contro il coronavirus».

Meng Xiangqing ha rivelato che martedì scorso l’intervento degli aerei dell’Epl avrebbe costretto lo US Air Force C-40, l’ufficio volante sul quale viaggiava Pelosi, a fare rotta sui cieli a est delle Filippine invece di tagliare, secondo il percorso previsto, lungo il Mar cinese meridionale.

«Le nostre truppe schierate in più posizioni sono diventate un deterrente per l’aereo», ha sostenuto alla tv di stato il generale maggiore dell’Epl.

Meng ha detto anche che le esercitazioni cinesi nel mare a est di Taiwan avrebbero obbligato il gruppo di combattimento guidato dalla portaerei “USS Ronald Reagan” ad allontanarsi dall’isola di centinaia di chilometri.

In Cina gli anziani patrioti maoisti, una gran parte della classe media e molti di quelli che aspirano ad entrarvi sono ipersensibili al nazionalismo, un sentimento alimentato dalle memorie del lungo secolo dell’umiliazione coloniale (1839-1949) che in frangenti come questo rischia di andare fuori controllo.

Anche per questo pezzo di popolo, per questo fronte interno – oltre che per mandare a Taipei e a Washington il segnale che Pechino è pronta a combattere – Xi Jinping ha scelto la più dura tra le risposte “simboliche” a disposizione per reagire alla visita di Pelosi.

Nelle ultime settimane – mano a mano che l’ipotesi dell’arrivo della speaker della Camera si faceva più concreta – gli agit-prop, i commentatori e i netizen nazionalisti hanno infiammato i social cinesi.

Diversi analisti sostengono che questo patriottismo rischierebbe di prendere in ostaggio l’agenda politica di Pechino.

In realtà, sembrerebbe piuttosto tutt’uno con il credo-ideologia promosso fin dal suo insediamento da Xi, quel “grandioso risveglio della nazione cinese” che è diventato uno dei principali collanti tra il partito e il suo popolo.

Non a caso è stato Xi Jinping – non un qualsiasi leone da tastiera – ad avvertire Joe Biden che «difendere la sovranità e l’integrità territoriale del paese è la ferma volontà di 1,4 miliardi di persone».

Usa sorpresi dalla reazione

Eppure c’è chi dalla leadership si aspettava una reazione ancora più dura. L’ex direttore del Global Times, forte dei suoi 24 milioni di follower su Weibo (il Twitter locale), aveva suggerito al governo e all’esercito: «Se Pelosi visiterà Taiwan, i caccia dell’Epl accompagneranno l’aereo di Pelosi sull’isola, effettuando per la prima volta una traversata storica dell’isola con aerei militari dalla terraferma. Il suo significato travolgerebbe la visita di Pelosi».

Il 29 luglio, dopo la telefonata Xi-Biden, aveva rilanciato: «Se i jet statunitensi scortano l’aereo di Pelosi a Taiwan, è un’invasione. L’Epl ha il diritto di respingere con la forza l’aereo di Pelosi e i caccia statunitensi, incluso sparare colpi di avvertimento e fare movimenti tattici di ostruzione. Se si rivelasse inefficace, allora andrebbero abbattuti».

E negli ultimi giorni sono tanti gli articoli di commentatori militari e opinionisti vari che su WeChat sostengono che il dopo Pelosi rappresenterebbe un’opportunità per “riconquistare” Taiwan. 

I sogni dei nazionalisti probabilmente non si avvereranno ma l’asprezza e l’ampiezza della replica di Pechino sembra aver colpito Washington.

La Casa Bianca ha esortato i democratici del Senato a non portare avanti una legislazione che nominerebbe Taiwan un “importante alleato non-Nato”.

Il disegno di legge bipartisan fornirebbe anche 4,5 miliardi di dollari in aiuti militari a Taiwan e sosterrebbe la sua partecipazione alle organizzazioni internazionali. La commissione esteri del Senato ha posticipato a settembre i lavori sulla legge. «La Casa Bianca è molto preoccupata», ha riferito il senatore democratico Chris Murphy.

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