L’araba fenice, il mitico uccello che risorge dalle proprie ceneri, torna ad agitare ciclicamente il panorama politico italiano assumendo più o meno sempre la stessa forma: quella di un nuovo partito dei cattolici o dei moderati che dir si voglia.

Dietro questo eterno ritorno, agognato soprattutto da qualche opinion maker, da alcuni dirigenti politici e intellettuali, c’è la nostalgia mai del tutto sopita per la Democrazia cristiana, il partito contenitore dentro il quale c’era un po’ di tutto, interclassista per antonomasia, che garantiva la stabilità nonostante i governi nella prima Repubblica si succedessero come giri di giostra.

Da Ruini al caso Orlandi

Al partito cattolico dei sogni mancano però gli elettori, e non è cosa da poco. In realtà mancano anche i cattolici, non più disposti, ormai da qualche decennio, ad andare d’accordo fra di loro e che anzi ormai si trovano divisi su quasi tutto, senza contare che il processo di secolarizzazione è andato avanti anche in Italia facendo diminuire il peso specifico dei credenti in politica.

Lo aveva capito bene il cardinale Camillo Ruini, capace di determinare per circa un ventennio le sorti del cattolicesimo italiano, puntando a fare dei vescovi un soggetto politico a pieno titolo, e provando poi a fecondare un po’ tutti i partiti con i laici credenti, meglio se eterodiretti dai vescovi e meglio ancora se protagonisti nel centrodestra.

Finita anche quella stagione, la diaspora cattolica non si è fermata, ma anzi è diventata un connotato per così dire stabile della politica italiana.

Tanto che è nato sì un Terzo polo ma a trazione interamente laica, anzi laicissima, guidato da Carlo Calenda, che, per esempio, si è espresso a favore dell’eutanasia e ha promosso, sia pure non da solo, una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi; non proprio un amico dei sacri palazzi, insomma.

Il ritorno di Formigoni

I cattolici schierati con l’attuale governo, poi, hanno trovato facile rifugio nell’identitarismo nazionalista della premier Giorgia Meloni, e nelle madonne portate in piazza a suo tempo da un Matteo Salvini; a garanzia dei temi etici interpretati come trincea ultima della civiltà occidentale, incontriamo poi la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Eugenia Roccella, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, già attivo nell’organizzazione ultraconservatrice Alleanza Cattolica, e dimessosi inoltre, appena ricevuta la nomina governativa, dalla presidenza di “Aiuto alla chiesa che soffre”, associazione impegnata sul fronte delle persecuzioni dei cristiani nel mondo con buone entrature in Vaticano.

In questo contesto, ha fatto notizia, negli ultimi giorni, anche il possibile ritorno sulla scena politica di Roberto Formigoni, di cui si parla a proposito di una sua possibile candidatura in FdI o in Foza Italia.

Smesse le sgargianti giacche arancioni, l’ex presidente della Lombardia, formatosi in Comunione e liberazione, dovrebbe finire di scontare la pena (fu condannato per corruzione a 5 anni e 10 mesi) – come lui stesso ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera – in tempo per prendere parte alla corsa per un seggio al Parlamento europeo.

Altro ciellino di lungo corso, tuttora in parlamento, è Maurizio Lupi, che con i moderati appoggia il governo Meloni.

Più sofferta la situazione del Pd, soprattutto dopo l’elezione di Elly Schlein a segretaria del partito. Il timore dell’ala cattolica, sulle prime, era che la nuova dirigenza del Pd, spostata a sinistra, non tenesse più conto delle sensibilità cattoliche in materia come l’eutanasia, la gestazione per altri (gpa) e la tutela della famiglia tradizionale.

In realtà, fino ad ora, non è accaduto niente di sconvolgente e molti dei volti noti del cattolicesimo democratico hanno scelto di restare nel partito: da Pierluigi Castagnetti a Graziano Delrio, da Pina Picierno all’ex senatore piemontese Stefano Lepri. Neppure Paolo Ciani, eletto deputato nel settembre scorso, cattolico tendenza Comunità di Sant’Egidio – la stessa del presidente dei vescovi Matteo Zuppi – ha dato segni di cedimento.

Tutti chiedono un confronto aperto ma nessuno ha intenzione, per ora, di lasciare il Pd. Se ne sono andati invece i renziani Andrea Marcucci e Enrico Borghi, nonché l’economista Carlo Cottarelli; tuttavia il comune denominatore di queste partenze è il timore che il partito diventi troppo radicale sul piano sociale e poco attrattivo per i mitici elettori moderati, la maternità surrogata non c’entra.

La chiesa resta a guardare

Lo stesso capo della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, appare fino ad oggi impegnato soprattutto a lavorare di cesello più che di piccone: evita di dare addosso al governo anche su questioni dirimenti come l’immigrazione, cercando, allo stesso tempo, di dialogare con tutti.

In questo senso, un buon banco di prova saranno gli “Stati generali della natalità” che si terranno a Roma l’11 e il 12 maggio; sarà presente Giorgia Meloni e mezzo governo, tutti i leader dell’opposizione, lo stesso Zuppi ed è atteso anche un intervento del Papa.

L’inverno demografico, denunciato più volte da Francesco, sta mettendo a rischio la tenuta del welfare e la stessa capacità produttiva del paese, oltre a essere un segno del crollo di fiducia nel futuro delle nuove generazioni.

Per la presidente del Consiglio, il problema numero uno resta quello delle scarse opportunità di lavoro per le donne, mentre è sbagliato pensare di ricorrere all’immigrazione per compensare il calo delle nascite.

Secondo la segretaria del Pd, il tema è legato invece alla troppa precarietà nel mondo del lavoro cui sono costretti i giovani, una situazione peggiorata dagli ultimi provvedimenti in materia di occupazione approvati dal governo.

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