- Si conclude oggi il consiglio europeo dedicato, tra le altre cose, al tema delle migrazioni.
- Il problema resta quello di cui si discute da anni: la necessità di un meccanismo di distribuzione solidale dei profughi.
- Ma i governi europei sono bloccati dai calcoli di politica interna. Per questo serve un altro modello.
Si conclude oggi il consiglio europeo dedicato, tra le altre cose, al tema delle migrazioni. Il premier Mario Draghi ha rimesso sul tavolo la questione di cui si discute da anni: la necessità di un meccanismo di distribuzione solidale dei profughi che giungono via mare o per altre vie. L’idea costantemente ripetuta è che coloro che sbarcano in Italia cercano in realtà l’Europa e non il nostro paese in particolare.
Tuttavia cambiare le regole di Dublino (quel trattato che lega indissolubilmente il profugo con il primo paese di arrivo) si è finora avverata un’impresa impossibile così come ogni tentativo di giungere a una solidarietà concreta, sia automatica che volontaria.
I governi europei – non importa di quale colore – sono bloccati, congelati dalla paura di contravvenire allo spirito del tempo rappresentato dall’ossessione migratoria e dall’idea che ognuno deve fare da sé. Inutile invocare lo spirito unitario con cui l’Europa è nata: sul tema migratorio gli stati membri rimangono ingessati per paura delle urne.
Destra e sinistra europee sono accomunate da un unico pensiero fisso: l’Europa non può permettersi di accogliere altri rifugiati. I global compact dell’Onu su rifugiati e migranti hanno scatenato polemiche a non finire senza riuscire a sbloccare la situazione. Eppure i dati parlano chiaro: non solo l’economia europea ha bisogno di manodopera, specializzata e non, ma l’inverno demografico del continente rende sempre più urgente porvi rimedio.
L’Italia è un esempio: secondi i dati dell’istituto Cattaneo, dal 2036 dovremo andarci a cercare gli immigrati fuori Europa pena il crollo della nostra economia perché per 5 pensionati ci sarà solo un lavoratore. La cosa più sorprendente è che non è vero che la società europea non ne vuole più sapere di migranti e profughi.
Tre anni fa l’esperimento dei corridoi umanitari introdotti dalla Comunità di Sant’Egidio assieme alle chiese valdese e protestanti e alla Caritas, ha dimostrato che le offerte di accoglienza e integrazione sono numerose da parte di famiglie e collettività. Ora il progetto è diventato una best practice europea ed è stato replicato in Francia e in Belgio.
L’idea dei promotori è che non occorra chiedere ai governi e alle istituzioni di procedere all’accoglienza e all’integrazione ma piuttosto alla società stessa, bilanciando gli arrivi sulla base dell’offerta che si crea liberamente. In questa maniera si è dimostrato che si può accogliere e integrare senza problemi perché è la società stessa a occuparsene.
Associazioni, famiglie, gruppi di cittadini, mettono a disposizione quello che hanno e laddove l’offerta è consona i promotori le “abbinano” una domanda cioè una famiglia siriana in fuga, una donna somala con figli e così via. È il principio dell’adozione: quello dei corridoi umanitari è un modello adottivo, liberamente scelto nel quale i governi si limitano a fare i controlli di sicurezza, rafforzati per l’occasione.
Tutto viene fatto secondo le norme vigenti. I promotori scelgono sul terreno (i campi profughi ad esempio) i rifugiati in base alla vulnerabilità e confezionano un programma di integrazione completo (apprendimento della lingua, scuole per i piccoli, lavoro e casa per tutti) sulla base delle offerte che ricevono. Lo stato non paga nulla: fanno tutto le persone che si offrono di accogliere. Questo è importante perché è vera sussidiarietà e dimostra che, se le cose si fanno per bene, nessuno ha più paura. Si può auspicare che il Consiglio adotti tale modello per tutta l’Ue: nella libertà si trova spazio per tutti.
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