Era il 2 ottobre del 2018 quando Jamal Khashoggi faceva ingresso nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul per ottenere i documenti necessari per il suo matrimonio. Non ne sarebbe uscito vivo e non avrebbe più fatto ritorno a casa.

Il 16 novembre dello stesso anno la Cia ha concluso che il mandante dell’omicidio di Khashoggi è stato Mohammed Bin Salman, primo in linea di successione al trono dell’Arabia Saudita e, dallo scorso 27 settembre, primo ministro dello stesso stato.

L’omicidio di Khashoggi è stato uno dei nodi principali delle difficoltà a proseguire ordinari rapporti politici tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, soprattutto a partire dall’inizio della presidenza Biden.

La guerra e la crisi energetica hanno però contribuito a restituire margini di “presentabilità internazionale” a Bin Salman, che dal 2018 aveva evitato viaggi in Europa e negli Stati Uniti.

Immunità

Ieri, con uno scarno comunicato, Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha informato di aver suggerito al gipartimento della Giustizia di sostenere in giudizio che Mohammed bin Salman può avvalersi dell’immunità nel contesto di una causa intentata da Hatice Cengiz, ex fidanzata di Khashoggi, e Democracy for the Arab World (Dawn).

L’immunità riconosciuta a bin Salman «nella sua veste di primo ministro», tuttavia, non ha impedito al dipartimento di Stato di reiterare la sua «inequivoca condanna del brutale omicidio di Jamal Khashoggi».

La nomina di bin Salman a primo ministro era stata già notata da Sarah Leah Whitson, direttrice di Dawn, che lo scorso 7 ottobre, scrivendo sulle pagine del sito del magazine del Quincy Institute per Responsible Statecraft, faceva notare «l’aberrazione di una nomina assurda» nel contesto del diritto saudita, che non conoscerebbe tale figura.

Si tratterebbe quindi di una nomina fatta al solo scopo di consentire a bin Salman di sfuggire ai processi in corso. Lascia riflettere il fatto che solo pochi giorni dopo la nomina (il 3 ottobre) gli avvocati di bin Salman abbiamo fatto pervenire alla Corte l’eccezione relativa all’immunità che dipenderebbe dalla nomina a primo ministro del 27 settembre.

Dalla ricostruzione offerta dalla Whitson, sulla base degli atti processuali, si evince che bin Salman avesse tentato in precedenza di farsi riconoscere l’immunità sulla base del suo titolo di principe, ma il tentativo non era riuscito.

Da qui la manovra volta ad aggirare le resistenze statunitensi e la richiesta del 3 ottobre da analizzare nel suo contesto politico.

Schiaffo petrolifero

Infatti, lo scorso 5 ottobre, l’Opec+ ha deciso di assestare un potente schiaffo alla Casa Bianca tagliando la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno.

Non vi è dubbio sulla consuetudine di riconoscere l’immunità ai capi di governo stranieri nel diritto statunitense, questo anche al fine di consentire la prosecuzione di normali rapporti diplomatici anche in un periodo di crisi.

Anzi, è forse proprio in questi periodi che è necessario garantire la possibilità di un funzionamento, anche minimo, del sistema delle relazioni internazionali.

Come ricorda Whitson, tuttavia, il diritto statunitense riconosce l’immunità solo a «quegli individui che l’esecutivo statunitense riconosce come ricoprire quella carica in modo legittimo».

Non sarebbe questo il caso di bin Salman, la cui «manovra fraudolenta» messa in piedi al fine di «evadere la giurisdizione delle corti statunitensi nelle tre controversie civili contro di lui (...) dovrebbe essere respinta non riconoscendo l’immunità».

Quella saudita è infatti una monarchia assoluta in cui «Re Salman controlla tutte le leve del potere e bin Salman è soltanto un suo subordinato».

Il 7 ottobre Whitson consigliava perciò all’amministrazione Biden di rigettare la richiesta del riconoscimento dell’immunità o, semplicemente, limitarsi a non intervenire nel caso.

La decisione dell’amministrazione Biden è stata diversa e, adesso, non resta che attendere la pronuncia dei magistrati. Decidere di non decidere e affidarsi alle pronunce dei giudici è già una decisione: è quello che fanno tanti politici per non assumere la responsabilità di scelte difficili salvo poi lamentarsi per le interferenze del potere giudiziario. L’amministrazione Biden ha fatto però una scelta diversa. Probabilmente non la più saggia.

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