Le autorità iraniane hanno rinviato l’esecuzione del ricercatore Ahmadreza Djalali. Ad annunciarlo è stata Amnesty International che dal 2016, data dell’arresto dello scienziato, si batte per la sua scarcerazione. Djalali, cittadino iraniano e svedese, è stato condannato a morte perché accusato di avere commesso delle attività di spionaggio contro l’Iran. Le associazioni umanitarie hanno criticato la sentenza dei giudici iraniani che avrebbero prodotto prove a sostegno delle accuse contro il ricercatore. Le autorità iraniane sono inoltre accusate di usare la minaccia della condanna a morte di Djalali per ottenere il rilascio di un iraniano accusato di terrorismo in Belgio.  A novembre 153 vincitori del premio Nobel avevano firmato una lettera alla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, per chiedere la liberazione di Djalali.

Il caso Zam

La condanna di Djalali, se eseguita, non sarebbe la prima, basata sul reato di «corruzione terrena» a scatenare le proteste internazionali contro Teheran: sabato scorso, 12 dicembre, è stata eseguita eseguita la condanna a morte del giornalista Ruhollah Zam considerato uno dei simboli delle rivolte divampate nel paese a cavallo tra il 2017 e il 2018 a causa della difficile situazione economica. Tramite il suo canale Telegram, Zam aveva diffuso messaggi antigovernativi e le coordinate necessarie per partecipare ai raduni dei manifestanti. La condanna del giornalista era stata duramente criticata da diverse organizzazioni tra cui Amnesty International che si era detta «scioccata dall’accaduto».

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