Donne e Isis: una sequenza di orrori. Tutti sono rimasti colpiti dalle atroci testimonianze delle sopravvissute yezide e cristiane: schiave sessuali dei combattenti islamici, vendute più volte, spesso uccise o ridotte a merce di scambio. Ma l’inferno è stato il destino di tutte le donne che si sono trovate a contatto con il califfato, da qualunque parte fossero schierate.

Qualche giorno fa, dal sotto-campo di al Hol in zona siriana controllata dai curdi del YPG, è stata portata via dai carabinieri del Ros Alice Brignoli di Lecco, sposa jihadista del marocchino Mohamed Koraichi.

Cinque anni fa in auto dall’Italia raggiunse con il marito la Siria per combattere. Lui è morto, lei rimasta sola con quattro figli piccoli. Ai carabinieri ha detto: «Non credevo che l’Italia si sarebbe ricordata di me», anche se l’attende la prigione.

In Siria è molto peggio: nel sotto-campo di al Hol sono rinchiuse le mogli dei jihadisti, molte ancora radicalizzate coi loro figli. Le donne prendono a sassate i curiosi a meno di non essere scortati militarmente.

La radicalizzazione sopravvive alla sconfitta ma il futuro di queste donne è incerto. In Iraq in casi simili il governo pensa alla pena di morte generalizzata: nessuno si vuole prendere la responsabilità dei resti del califfato.

Amore e ideologia

Sono parecchie centinaia le donne occidentali, mogli, figlie o madri del jihad, ora spesso vedove. Hanno seguito i loro mariti, padri o figli. In Francia hanno condannato al carcere Christine Rivière, una madre francese che sosteneva di aver solo voluto star accanto al proprio figlio fino alla morte. Non le hanno creduto.

E’ complicato discernere tra amore (coniugale, materno o filiale) e adesione all’ideologia. I tribunali europei hanno un bel da fare quando trattano casi come questi. Ci sono alcune donne italiane che si sono trovate in vario modo dentro il mondo estremo dello Stato islamico, sia in patria che all’estero.

C’è stata Lara Bombonati di Torino, moglie di Francesco Cascio di Castellammare del Golfo morto in Siria, che aveva aderito ad al Nusra, il nome di al Qaeda siriana.

Oppure Aisha Farina ex moglie del noto imam di Carmagnola, creatrice di blog estremisti alla ricerca di aderenti al jihad. La cognata di Alice, Wafa, anche lei aveva aderito all’Isis.

Meriem Rehaily di Arzergrande (Pd), a 19 anni è andata in Siria dopo essersi auto-radicalizzata sul web. Conosciamo la storia di Maria Giulia Sergio, ora Fatima, di Torre del Greco, intervenuta spesso in Tv. C’è Bushra Haik nata a Bologna nel 1985, famiglia di origini siriane e passaporto canadese. Prima si trasferì a Riad e sposò un imam di origini siriane. Lì si era radicalizza, mantenendo relazioni con l’Italia e divenendo una delle più attive reclutatrici, per esempio della stessa Sergio.

La radicalizzazione delle ragazze e delle donne ci stupisce più di quella dei maschi ma non è per nulla incomprensibile: hanno seguito i loro uomini anche in questa assurda avventura.

Spesso è venuto il tempo della delusione: ogni donna ha avuto in pochi anni tre o quattro mariti perché gli uomini morivano continuamente. Ci si sposava senza conoscersi e sovente si divorziava altrettanto rapidamente. La cosa peggiore era il maqqar, la casa delle donne senza marito, dove venivano rinchiuse anche le schiave yazide in vendita. Nel maqqar non avevi nessun diritto e dovevi solo attendere che ti trovassero un uomo. I jihadisti maschi venivano a scegliere: per questo esisteva il mouqabala, lo speed dating islamico, 15 minuti al massimo. Ogni romanticismo è scomparso presto.

Partorire leoncini

Il compito principale delle donne del califfato era mettere al mondo “leoncini” del califfato che non differivano dai “leoncini di Saddam”: dopo la guerra del 1991 il partito nazionalista Baath aveva già fatto lo stesso, preparando un’intera generazione alla radicalizzazione, almeno in Iraq. Si calcola che circa 5000 bambini di età media di 12 anni siano stati reclutati dall’Isis a Mosul e avviati all’addestramento militare. 

Molte donne provenienti da Occidente speravano in una vita semplice e ordinata, con una chiara distinzione dei ruoli e il ritorno al compito sacro e inviolabile di madre. Per altre c’era il bisogno di una comunità forte e integratrice. Infine c’erano anche (poche) quelle davvero estremiste che per mesi avevano cercato di ottenere dal “califfo” al Baghdadi il permesso di combattere e di fare le kamikaze. Di per sé la sharia vieta tutto questo alle donne. Alla fine alcune ottennero il permesso nel corso del 2016, quando l’Isis iniziava a perdere colpi.

Anche queste storie, come quelle tragiche delle ragazze yazide, sono diventate note per le numerose testimonianze e i racconti, talvolta atroci, che emergono lentamente dai sopravvissuti del jihad. Tuttavia poco si sa delle ferite che la fuga in Siria ha provocato all’interno delle comunità musulmane di origine, sia nei paesi arabi che in Europa.

Le famiglie spaccate dal califfato

All’interno del mondo musulmano l’islam radicale viene messo sotto accusa perché ha spaccato le famiglie, distrutto la solidarietà di gruppo e si è opposto alla tradizione. Si è trattato di una specie assurda di ’68 islamico che ha demolito in un’intera generazione il senso di autorità degli imam e dei padri di famiglia.

Di conseguenza talvolta le famiglie sono insorte con violenza, come in Tunisia quando un gruppo voleva bruciare la moschea dove officiava un imam reclutatore. Tali episodi sono stati frequenti. In Iraq dove l’Isis era nato, una famiglia sunnita su tre era passata al califfato provocando una spirale di vendette senza fine, interne a quel mondo.

Anche per questo nessuno oggi vuole accogliere nei propri villaggi o quartieri non soltanto i foreign fighters e le loro famiglie, che sono di origine straniera, ma nemmeno le donne arabo-musulmane che sono state con l’Isis. In molte tribù arabe mediorientali c’è un esplicito veto contro tali famiglie. Così queste ultime languiscono in campi orribili, come Alice. 

Nei paesi europei da cui sono partiti ragazzi e ragazze, sia di famiglia musulmana che non, molte madri si sono organizzate in associazioni, secondo l’uso occidentale, per chiedere ai governi europei di rintracciare i loro figli e di riportarli indietro. Molte altre hanno rifiutato di aderire: per loro quei congiunti innamorati della guerra santa non esistono più. Sentono addosso il peso del giudizio che la società attorno carica sulle spalle di chi ha avuto un figlio o una figlia fuggiti in Siria.

L’Isis è donna

Prima dell’Isis nessuna formazione jihadista aveva puntato così tanto sulle donne. L’idea dei seguaci del califfo era costruire un’intera società alternativa, distruggendo quella precedente. Per questo l’Isis ha manipolato la questione del matrimonio puntando il dito contro la tradizione della dote.

I jihadisti si impongono laddove il matrimonio è costoso: complice la crisi economica sposarsi è divenuto caro. In Egitto una dote vale anni di risparmi. In Arabia Saudita il governo ha dovuto mettere un limite sul valore in denaro di una vergine o di una donna già sposata.

Nei paesi più poveri come il Sudan i prezzi delle mogli sono alti, fino a 50.000 euro. Uno dei motivi per cui molti giovani si sono fatti jihadisti è la difficoltà di sposarsi. I gruppi radicali si offfronto di  pagare la dote ma soprattutto predicano contro il suo utilizzo. In Siria per chi voleva fare le cose in regola, l’Isis offriva 10.000 dollari per comprare la sposa e la luna di miele.

Anche per le donne che non sono state dalla parte dei combattenti né delle loro vittime, il futuro ha riservato un destino incerto.

E’ il caso di molte bambine e ragazze siriane profughe fuggite con le loro famiglie nei campi rifugiati in Turchia, Giordania, Libano e altrove. L’esodo delle siriane è stato sfruttato da uomini senza scrupoli che si sono messi a girare per i campi a “comprare” spose bambine per sé o per altri.

Il fenomeno dei matrimoni precoci è così scoppiato tra i rifugiati siriani. Spesso madri disperate hanno pensato che fosse l’unico modo per dare alle loro figlie un futuro. C’è chi ha calcolato che a fine 2017 nei campi in Giordania oltre il 40 per cento delle bambine e ragazze siriane profughe tra i 13 e i 17 anni, fosse già sposata. Un mercato delle adolescenti per facoltosi uomini del Golfo.

La guerra di Siria sta uccidendo e facendo soffrire oltre sé stessa. A Idlib si combatte ancora ma anche dove dovrebbe esserci pace continuano morte e tormenti. Tutti ne sono vittime ma le donne portano si di sé una parte particolarmente pesante delle conseguenze del conflitto. Siano esse state schiave o aguzzine, spose di combattenti o madri rimaste a casa, orfane del jihad o profughe nei campi, tutte soffrono in maniera indicibile nel generale silenzio che ormai le circonda.

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