Per chi ama i paradossi, il fatto che la Guinea Equatoriale sia l’unico paese in Africa dove lo spagnolo è lingua ufficiale ma che nell’America latina dominata dallo spagnolo ci sia una Guyana – anch’essa molto equatoriale di fatto se non di nome – che è l’unico paese sudamericano dove la lingua ufficiale è l’inglese (il Nicaragua dove è lingua regionale e l’anglofono Belize sono ovviamente in America centrale), è un punto di partenza abbastanza interessante. Reso ancora più intrigante dal fatto che entrambe le Guyane “rovesciate” sono ricchissime di risorse naturali che però non arricchiscono la popolazione e che entrambe cadono nella categoria delle nazioni poco conosciute, ma strategicamente sempre più importanti. Restiamo in Sudamerica.

La Repubblica cooperativa della Guyana, questo il nome ufficiale dell’ex Guyana Britannica, fa parte di una trilogia di Guyane sudamericane e non-ispaniche che stanno emergendo come un angolo importante della geopolitica delle Americhe. Angolo per modo di dire, perché la Guyana Francese, il Suriname (ex Guyana olandese) e la Guyana anglofona coprono insieme un territorio di 443mila chilometri quadrati (Germania, Belgio, Paesi Bassi e Svizzera messi insieme). Ma la loro importanza non è solo nelle dimensioni o nell’incredibile biodiversità amazzonica che contengono e proteggono, ma nel fatto che senza conquistare molto spesso le pagine dei giornali sono territori dove il gioco si sta facendo complesso.

La Guyana con capitale Georgetown divenne brevemente famosa nel 1978 per il massacro di Jamestown, quando più di novecento persone inclusi trecento minori morirono suicide (ma molti che rifiutavano il suicidio furono anche ammazzati) per ordine del capo della setta religiosa Jim Jones, a cui il governo aveva concesso di costruire una sorta di comune agricola dedicata al culto della personalità. Il suicidio di massa segnò la fine di Jonestown e il ritorno della Guyana nell’anonimato. Fino a quando le compagnie petrolifere americane come ExxonMobil iniziarono a scoprire vasti giacimenti di petrolio offshore e a firmare contratti che secondo Global Witness costano 55 miliardi dollari in mancati introiti. E sono costati anche un conflitto strisciante con il vicino Venezuela, che sostiene che i campi petroliferi sono in acque territoriali controllate da Caracas.

Il valore della risorsa

Pare che il petrolio della Guyana valga almeno 100 miliardi dollari, una cifra gigantesca per una nazione che ha un Pil di soli 4 miliardi. Nel 2018 il presidente, il generale David Granger, è stato sfiduciato proprio sulla base dei contratti formati con Exxon che sarebbero stati troppo favorevoli alla compagnia petrolifera (in cambio di bonus da 18 milioni di dollari ai ministri che li avevano firmati). Dopo un lungo conflitto sui risultati elettorali l’anno scorso è emerso come nuovo presidente Mohamed Irfaan Ali, un quarantenne di famiglia musulmana originaria dell’India che come capo dell’ex opposizione promette una più equa distribuzione della ricchezza. Il fatto che sia il primo capo di stato di religione islamica in Sudamerica rende Irfaan Ali un caso importante per l’integrazione delle tante e diversissime comunità che compongono il tessuto umano di questa parte del mondo: asiatici, africani, indigeni amazzonici, europei. Anche il vicino Suriname, ex colonia olandese indipendente dal 1975, ha scoperto il petrolio. E ha una scena politica movimentata. L’ex presidente Desi Bouterse, al potere in varie forme dal 1980 e amico del Venezuela di Nicolas Maduro, è stato sconfitto nelle elezioni dell’anno scorso dopo aver accumulato negli anni varie condanne per reati che vanno dall’omicidio, al traffico di droga alla corruzione. Accusato anche di aver offerto tramite suo figlio una base a Hezbollah in cambio di 2 milioni di dollari, Bouterse è ora fuori dalla scena. Gli è succeduto l’antico rivale Chan Santokhi, eletto in coalizione con l’ex “guerrigliero della giungla” Ronnie Brunswijk. Una alleanza che, almeno a parole, anche qui promette più giustizia e meno corruzione.

Il Suriname ha risorse per prosperare: bauxite (necessaria alla produzione industriale di alluminio), oro, petrolio, turismo, pesca. È da tempo nel mirino della Cina, che vuole metter piede in un punto del continente americano che ha una strana configurazione: confina con l’Unione europea.

Il territorio della Guyana Francese, infatti, è un dipartimento d’oltremare della Francia totalmente integrato alla madrepatria sin dal ’46, nonostante sia distante 7mila chilometri da Parigi. La terra delle disavventure di Papillon e della famosa colonia penale conosciuta con il nome della capitale Cayenne dove venne recluso l’Alfred Dreyfus del famoso J’accuse, commercia in euro e dal 1964 ospita il centro spaziale francese poi divenuto Agenzia spaziale europea. È da qui, da una base modernissima circondata dalla giungla, che l’Europa manda nello spazio i propri satelliti. Confinante con il Brasile, è sotto pressione per l’afflusso di immigrati clandestini che sperano in una briciola della grande torta di sussidi che la Francia rovescia ogni anno su questa regione. I sussidi, tuttavia, non riescono a spegnere le fiammate di malcontento sociale: il 25 per cento della popolazione è ancora senza elettricità, i posti di lavoro sono pochi, le infrastrutture fuori dall’avveniristico centro spaziale latitano. E gli indipendentisti, che si chiamano I 500 Fratelli e quando necessario girano mascherati e vestiti di nero, minacciano di sostituire il tricolore con la bandiera giallo-verde guyanese (con stella rossa al centro). Quattro anni fa sono persino riusciti a occupare la base di lancio dei satelliti, che anche se impiega 5mila persone su 300mila abitanti (ma molti sono tecnici francesi) e contribuisce per il 15 per cento del Pil regionale è visto come un simbolo di tutto ciò che la Francia ha sbagliato negli ultimi decenni.

Il conflitto con Parigi

Il problema è che la Francia non può permettersi di perdere il centro spaziale: l’industria dei satelliti commerciali (e l’Airbus), per non parlare dei sistemi di difesa, ne dipende. Ma forse non può neppure permettersi i costi dello sviluppo a livello europeo di un territorio dove i sussidi in cash e stipendi statali non bastano perchè da sempre mancano strade, scuole, tribunali, ospedali, commissariati di polizia.

Ci sono città e villaggi che si raggiungono solo dopo due o tre giornate di canoa sul fiume Moroni. Molti giovani diventano trafficanti di droga verso l’Europa, “muli” che salgono sui voli diretti Cayenne-Parigi sperando di non essere individuati dalle insufficienti forze di polizia e doganali. L’accordo firmato tra Francia e French Guyana nel 2017 ha portato nuovi sussidi, ma la dipendenza della Guyana dagli aiuti statali francesi significa che non si è mai sviluppata una base economica privata. Terra del più famoso penitenziario della storia, la Guyana Francese è lei stessa prigioniera della storia e della geografia.

E persino l’ecoturismo in questa terra amazzonica di straordinaria bellezza, che potrebbe da solo far decollare l’economia, non è mai davvero partito. Pensare che da tempo le grandi potenze pensano che le Guyane un giorno diventeranno importanti: alla fine della terza guerra anglo-olandese nel 1667, con il Trattato di Brema gli olandesi avevano accettato il Suriname in cambio di quella che allora si chiamava Nuova Amsterdam e oggi Manhattan. È passata molta acqua nei fiumi dell’Amazzonia.

Oggi le tre Guyane assomigliano sempre più pericolosamente alla loro cugina africana: grandi risorse, grandi speranze, grandi terre sottopopolate, ma anche grandi disastri sociali e corruzione. La differenza è che i vicini di casa delle tre Guyane sono forti e aggressivi e la debolezza intrinseca delle Guyane fa loro gola. Venezuela a est, Brasile a sud (e Cina dalle sue molteplici postazioni caraibiche ) vorrebbero approfittarne e gli antichi o attuali legami colonial-storici con Paesi Bassi, Gran Bretagna e Francia non le possono proteggere. Le numerose contese territoriali (del Suriname nei confronti di Guyana e Guyana Francese, del Venezuela nei confronti della Guyana), oltre agli scontri marittimi tra varie forze navali, dimostrano che la posta in gioco è alta.

Le Guyane devono voltare pagina. E guardare alla mappa per capire che basterebbe poco per ridisegnarla.

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