Più truppe nei paesi baltici, l’annuncio che le sanzioni saranno più aspre di quelle del 2014: Joe Biden, il presidente Usa che per settimane paventava una invasione «imminente» dell’Ucraina, ora prende atto che l’invasione è in corso e annuncia le contromisure «coordinate con gli alleati», cioè Regno Unito, Unione europea e Canada. Il monito a Mosca è quello di imporre gravi contromisure soprattutto dal lato finanziario. Ma per ora l’occidente non esclude del tutto la strada della diplomazia.

Il solito copione

Vladimir Putin «usa sempre il solito copione», e l’Europa lo sa: infatti lo dice. «Putin mina la sovranità ucraina, manda soldati, l’escalation è chiara, e altrettanto lo schema: lo abbiamo già visto in altre occasioni. Sappiamo anche quali passi seguiranno», ha detto oggi l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Nel frattempo il Cremlino, tramite i voti della Duma, aveva formalizzato sia il riconoscimento di Donetsk e Lugansk – non solo le parti già presidiate dai separatisti, ma l’intero territorio – e approvato ufficialmente l’invio di truppe. Ma se il copione dal lato russo è lo stesso già visto ormai da trent’anni, sperimentato in Moldavia e Georgia, e se finora per Mosca ha funzionato, cosa cambia nel copione occidentale per impedirglielo? Per ora poco. Si può dire che il vero atto inedito dell’Ue non stia nella reazione robusta ma nello stesso fatto di unirsi: ed è un profluvio di dichiarazioni coordinate. «Riconoscere i territori separatisti è una palese violazione del diritto internazionale, dell’integrità territoriale dell’Ucraina e degli accordi di Minsk». Usano le stesse parole, Ursula von der Leyen, Charles Michel, Josep Borrell, Roberta Metsola. Poi ieri, il pacchetto di sanzioni è approvato all’unanimità dai 27 stati membri. Una prova rara di unione ma per una risposta che finora non è la più dura.

La vera svolta politica arriva dalla Germania, paese pragmatico e dialogante per eccellenza: il cancelliere Olaf Scholz annuncia il blocco di Nord Stream 2. La chiusura di un gasdotto mai aperto è il gesto più forte che l’occidente fa verso Mosca.

La chiave tedesca

La Germania, assieme alla Francia, è il paese che più ha cercato di ritagliare un margine di manovra europeo, e di non restare schiacciata tra Stati Uniti e Russia. Criticato aspramente da Washington per le sue scelte ambigue su esportazioni di armi ed energia, Olaf Scholz era riuscito però – sempre che Putin non stesse bluffando del tutto – a riportare Mosca sul canale diplomatico. I suoi incontri, prima a Kiev e poi al Cremlino, la dichiarazione che «l’ingresso di Kiev nella Nato non è in agenda», avevano innescato l’annuncio della fine delle esercitazioni russe. Ora che la situazione è precipitata, ancora una volta è da Berlino che arriva un segnale chiave. La presa di posizione del governo, che blocca la certificazione di Nord Stream 2, è la scelta forte presa oggi dal lato europeo: forte politicamente, perché persino il più dialogante dei paesi, quello che ha difeso il gasdotto coi governi di ogni colore, da Gerhard Schröder ad Angela Merkel, si mostra disposto a mettersi di traverso a Mosca.

Le sanzioni moderate

Ma non basta. «Bene! Benvenuti in un mondo in cui gli europei pagheranno presto 2mila euro per mille metri cubi di gas!», ha avvertito Dmitry Medvedev, l’ex presidente russo. L’arma del ricatto energetico rimane nelle mani della Russia, che per consumi interni ha un’economia pari a quella della Spagna, e deve oltre metà delle sue esportazioni ai combustibili fossili.

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Von der Leyen ieri ha annunciato che l’Europa ridurrà il più possibile la propria dipendenza energetica e che il futuro si chiama «rinnovabili». Ma ha da poco classificato il gas tra le attività «green». E cosa fa l’Ue, di diverso dalle altre aggressioni russe, per fermare Putin stavolta? La metà delle esportazioni russe va proprio all’Ue: anche se sul fronte energetico alcuni paesi europei sono assai vulnerabili, su quello commerciale in senso ampio la Russia è più esposta di noi ai contraccolpi con l’Europa. Questa almeno è la conclusione degli analisti del Bruegel institute: «Perché le sanzioni abbiano un ruolo deterrente, devono essere molto ampie». Quelle approvate all’unanimità dall’Ue, tenendo insieme paesi pro e anti Mosca, colpiscono 27 individui ed entità coinvolti nell’offensiva al Donbass, i membri della Duma che hanno votato contro l’integrità territoriale ucraina e le banche che sostengono l’operazione, l’accesso del governo russo a capitali, mercati finanziari e servizi Ue. «Poi prendiamo di mira le relazioni economiche con Donetsk e Lugansk, come abbiamo fatto con la Crimea», dice Borrell: in quel caso non è servito. Lo stridore tra parole e fatti è ancor più evidente dal lato britannico: nonostante la retorica belligerante di Boris Johnson, le sanzioni da lui annunciate ieri sono ritenute deboli.

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