Su un edificio della George Washington University, prestigiosa università che si trova nel pieno della Capitale americana, sono state proiettate delle scritte luminose per dieci ore nella serata di martedì.

Le frasi visibili non si limitavano a una difesa della causa palestinese e a una denuncia della brutalità dell’esercito israeliano. Erano slogan che implicitamente invitavano alla pulizia etnica (“Palestina libera dal fiume al mare”) e mettevano in discussione la legittimità dello stato d’Israele.

La scritta più pesante diceva “gloria ai nostri martiri”. Un linguaggio che ricalca non quello dei militanti tradizionali, ma quello di Hamas. In un’altra sede accademica, il Cooper Union College di New York, c’è stato un episodio ancor più grave: nella serata di mercoledì è stata messa a rischio l’incolumità di venti studenti ebrei, rinchiusi in una delle aule del campus, mentre altri dimostranti bussavano violentemente contro la porta chiusa all’interno.

Un episodio che è solo la punta dell’iceberg di quello che è un fenomeno che va avanti ormai da settimane e che ha portato all’intervento diretto del viceaddetto stampa della Casa Bianca, Andrew Bates, che ha condannato queste manifestazioni senza sconti in un’intervista al Times of Israel.

«Queste azioni grottesche scuotono la coscienza e fanno rivoltare lo stomaco», ha detto, aggiungendo che «il presidente Biden è stato e sarà sempre un nemico dell’antisemitismo».

Ambiguità istituzionale

Intanto però il caos all’interno dei college ha messo in luce anche l’ambiguità di altre istituzioni, prima tra tutte l’università di Harvard, dove lo scorso 10 ottobre una trentina di organizzazioni studentesche ha firmato un comunicato dove veniva attribuiva interamente a Israele la responsabilità del conflitto.

Una scelta controversa che scatenato l’ira di alcuni grandi finanziatori delle attività accademica della più nota delle università della cosiddetta Ivy League, l’organizzazione informale che include le università con il maggior prestigio nei ranking accademici, tra cui Seth Klarman, presidente del The Baupost Group, un grande fondo d’investimento con sede a Boston che in passato ha donato all’ateneo un intero auditorium chiamato Klarman Hall.

La fine del suo sostegno all’istituzione probabilmente non inciderà in modo decisivo, ma potrebbe portare a un potenziale effetto domino. Non è però solo quello il tema delle manifestazioni di questi giorni, che hanno assunto spesso toni apertamente antisemiti, come nel caso estremo del tweet della ricercatrice dell’Università di Davis in California, la storica Jemma Decristo, che ha apertamente invitato a minacciare i giornalisti “sionisti”.

Sotto i riflettori sono finite in particolare le azioni dell’organizzazione denominata “Students for Justice in Palestine” (Sjp), citata in una lettera inviata a circa duecento università dall’Anti Defamation League, la maggior organizzazione americana che si occupa di lotta all’antisemitismo.

Nella missiva si invita a indagare sulle fonti di finanziamento di quest’organizzazione, che ha definito gli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre quali «legittimi atti di resistenza» e che in alcuni casi ha chiesto «di smantellare il sionismo nelle università».

L’intervento di DeSantis

Un report del 2016 dello Steinhardt Research Institute della Brandeis University di Waltham, in Massachusetts, indicava l’attività di questa organizzazione quale «indicatore di un alto livello di antisemitismo» nei campus.

Nella vicenda è entrato anche uno dei candidati alle primarie presidenziali repubblicane del prossimo anno, il governatore della Florida Ron DeSantis, che ha chiesto alla dirigenza degli atenei pubblici del suo stato di chiudere forzatamente tutti le organizzazioni affiliate a Sjp, oltreché naturalmente chiedere l’espulsione di tutti gli studenti stranieri aderenti a questa organizzazione.

Una mossa che probabilmente pone un serio rischio di violazione del Primo emendamento della Costituzione americana, ma che viene usata in modo cinico da DeSantis per rilanciare i suoi numeri nei sondaggi, ormai piuttosto malmessi.

Per l’amministrazione Biden, invece, sono poche le mosse che si possono fare senza eccedere e violare la libertà di parola degli studenti. Anche se gli attacchi antisemiti, benché non clamorosi come quelli della George Washington University, sono sempre più diffusi e capillari, senza bisogno di cercare finanziatori e manovratori occulti.

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