La mappa elettorale della Turchia non è mai stata così rossa. Dopo ventidue anni, da quando l’attuale presidente Recep Tayyip Erdogan è salito al potere, l’opposizione non aveva mai raggiunto un risultato come quello del 31 marzo.

Il Chp, erede del padre della moderna Turchia Kemal Ataturk, ha riconfermato i propri sindaci nelle maggiori città turche e lungo le coste dell’Egeo, storiche roccaforti del partito laico-repubblicano, e ha anche conquistato ben dodici nuove municipalità.


Per Erdogan, il risultato delle urne ha rappresentato invece una dura sconfitta. Nel corso della campagna elettorale, il presidente aveva promesso di riprendere il controllo di Ankara e Istanbul, finite nelle mani del Chp nel 2019, ma non è riuscito nel suo intento.

Anzi, il suo partito, l’Akp, ha perso alcune grandi città, a tutto vantaggio del Chp e anche di altre formazioni politiche che sostengono o hanno sostenuto il presidente nelle elezioni di maggio-giugno.

L’Mhp, il partito di estrema destra nazionalista, ha vinto in due nuove municipalità, mentre le città di Şanlıurfa e Yozgat sono finite sotto il controllo del Refah, un partito islamista guidato da Fatih Erbakan, figlio del mentore di Erdogan, Necmettin Erbakan. Il Refah aveva appoggiato il capo di Stato nella sua ultima corsa alle presidenziali, ma ha deciso di presentare i propri candidati in occasione delle municipali, puntando sui voti degli elettori insoddisfatti “della decadenza morale” dell’Akp.

Il sud-est invece è rimasto saldamente nelle mani delle forze filo-curde, ricostituitesi sotto la sigla Dem dopo che il partito Hdp è stato chiuso per vie legali con l’accusa di terrorismo e di legami con il Pkk, il partito dei lavoratori curdo considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica.

A penalizzare il partito del presidente è stata prima di tutto l’economia. L’inflazione ha raggiunto il 70 percento, con una conseguente svalutazione della lira e la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, in particolare della classe media. Dopo le presidenziali, Erdogan ha imposto cambiamenti drastici nella gestione dell’economia, ma i risultati raggiunti fino ad oggi non sono stati sufficienti per convincere gli elettori.

Il 2028

L’esito delle elezioni municipali è importante anche per capire cosa succederà nei prossimi mesi all’interno delle maggiori forze politiche turche e in particolare nel Chp. Dopo la sconfitta alle presidenziali, Kemal Kılıçdaroğlu è stato sostituito alla guida del partito kemalista da Özgür Özel, esponente dell’ala più giovane e riformatrice.

A puntare alla leadership del Chp, però, è da tempo Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul appena riconfermato alla guida della capitale economica della Turchia.

Proprio Imamoglu potrebbe essere il prossimo sfidante dell’Akp alle elezioni presidenziali del 2028, anche se il primo cittadino deve fare i conti con una condanna a due anni e mezzo per insulti al Comitato elettorale - contro cui ha fatto ricorso - e con un nuovo procedimento giudiziario in cui è accusato di brogli in gare d’appalto.

L’uso della magistratura contro gli avversari politici non è certo una novità per Erdogan. Il presidente detiene il controllo sulla giustizia, impiegata in maniera strumentale anche contro i sindaci curdi eletti nel 2019 e destituiti con l’accusa di legami con il terrorismo.

Senza contare i numerosi arresti di oppositori politici, giornalisti, avvocati o semplici cittadini che hanno manifestato contro il governo. Ad aiutare Erdogan è anche l’asservimento quasi totale dei media.

Come già visto durante la campagna elettorale del 2023, il partito di governo ha avuto un’esposizione mediatica largamente superiore rispetto ai suoi avversari, maggiormente attivi sui social. Non sorprende dunque che i media mainstream abbiano celebrano non tanto la vittoria dell’opposizione, quanto quella della democrazia, citando le parole del capo di Stato.

Parlare di democrazia in Turchia, però, non è del tutto corretto. I cittadini possono ancora andare a votare, ma considerato il controllo del governo sui mezzi di informazione, sulla giustizia e in generale sulla vita politica del paese è difficile parlare di elezioni veramente libere e giuste.

Adesso gli occhi sono puntati sulle elezioni presidenziali del 2028. Erdogan non potrebbe più ripresentarsi avendo ormai raggiunto il numero massimo di mandati, mentre il Chp sembra pronto a correre da solo - anziché alla guida di una coalizione larga come successo a maggio - ma i prossimi quattro anni potrebbero riservare importanti sorprese.

© Riproduzione riservata