La guerra in Ucraina ha spronato gli stati dell’Unione europea a investire di più nella difesa. I discorsi dei funzionari europei si sono arricchiti delle sigle di nuovi e vecchi programmi per il rafforzamento militare e industriale dell’Unione. A più di un anno dall’inizio dell’invasione russa, però, il progetto di autonomia strategica europea è ancora lontano dal realizzarsi.

Nonostante l’aumento degli investimenti, i progressi sono pochi, come lamentano da tempo le aziende del settore. Queste ultime infatti hanno ampliato le linee produttive esistenti e assunto nuovo personale grazie agli ingenti guadagni derivanti dalla guerra, ma per incrementare ulteriormente e in maniera più stabile la loro produzione hanno bisogno di maggior impegno da parte degli Stati.

Le richieste delle aziende

Gli investimenti fatti fino ad ora dalle imprese sono stati utili per rispondere all’esigenze immediate dell’Ucraina e per rimpinguare gli arsenali dei paesi europei, ma per arrivare a un cambio strutturale delle capacità produttive delle aziende belliche è necessario l’intervento degli stati.

Le imprese chiedono sono contratti di lungo periodo, rapporti più stretti con i governi e una maggiore attenzione verso il mercato interno, spesso messo in secondo piano rispetto a quello extra-Ue. Tutti elementi che permetterebbero alle aziende di abbattere i costi di produzione, aprire nuovi impianti e anche ripristinare quelle linee produttive dismesse negli ultimi decenni e che la guerra in Ucraina ha riportato invece al centro dell’attenzione.

Un primo aiuto potrebbe arrivare dal programma europeo per l’acquisto congiunto di armamenti e ancora di più dall’Asap, progetto pensato per l’aumento della produzione di armamenti e i cui 500 milioni di fondi dovrebbe andare alle aziende di 11 stati membri, Italia compresa.

Su questo punto però il dibattito è ancora in corso. Il Commissario al mercato interno, Thierry Breton, e la Francia vorrebbero escludere dalle linee produttive le aziende non europee, così da poter anche attingere a parte dei fondi di coesione e dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, ma non tutti gli stati membri sono d’accordo.

Per il momento l’intesa preliminare prevede che si possano acquistare anche munizioni e missili assemblati in Europa e prodotti in parte al di fuori del Vecchio continente, ma la decisione finale su questo punto sarà determinante per il futuro del sistema bellico-industriale europeo e anche per i rapporti con gli Usa.

L’insistenza di Emmanuel Macron sull’autonomia strategica dell’Ue e il rafforzamento delle capacità tecnologiche e industriali europee non incontra del tutto il favore degli Stati Uniti.

Per il presidente francese la guerra in Ucraina è l’occasione per trasformare finalmente l’Ue in una potenza militare autonoma, capace di emanciparsi dalla dipendenza dall’alleato americano, ma gli obiettivi di Washington sono ben altri.

Gli Usa spingono da tempo affinché gli stati europei rafforzino le proprie capacità militari, ma vogliono anche che a beneficiarne siano le proprie aziende della difesa. Come sta già accadendo. Diversi paesi Ue stanno acquistando i Javelin prodotti da Raytheon e Lockheed Martin, la Polonia ha siglato un accordo da 1,4 miliardi per 116 carri armati M1A1 Abrams e un altro da 10 miliardi con Lockheed Martin per i lanciarazzi HIMARS, mentre Slovacchia e Romania sono in trattativa per gli F-16 e gli F-35.

Tutti questi contratti avranno delle conseguenze anche sul lungo periodo: comprare carri armati o jet dagli Usa vuol dire dover fare affidamento su quelle stesse industrie per gli aggiornamenti e le riparazioni nei prossimi decenni, a discapito delle imprese europee.

Disorganizzazione Ue

Intanto le principali aziende dei paesi dell’Unione stanno cercando di aumentare la propria offerta, riducendo allo stesso tempo la concorrenza e lo spreco di risorse pubbliche nazionali e comunitarie. I risultati però sono stati fino ad ora altalenanti.

L’italiana Fincantieri, la francese Naval Group e la spagnola Navantis stanno costruendo insieme le “Corvette europee del futuro”, pensate per le Marine di diversi stati Ue, ma lo stesso risultato non è stato raggiunto nel campo dell’aviazione.

Francia e Germania si sono unite per realizzare il Future Air Combat System, il jet di sesta generazione, ma anche Italia, Regno Unito e Giappone stanno lavorando a un progetto simile. Questo sdoppiamento avrà degli effetti negativi per tutte le aziende coinvolte, che dovranno fare i conti non solo con la concorrenza degli Usa ma anche con quella interna a livello europeo.

Ma la disorganizzazione dimostrata dall’Ue sta già compromettendo gli sforzi delle aziende, soprattutto nel caso della produzione delle munizioni. Le industrie stanno comprando quantità maggiori di materie prime e chip tutte nello stesso momento e dagli stessi fornitori, per cui nessuno è in grado di soddisfare in tempi adeguati le richieste degli stati membri e dell’Ucraina.

Questo collo di bottiglia si sarebbe potuto evitare se ci fosse stata una migliore coordinazione a livello europeo, ma l’Ue ancora una volta non è stata in grado di agire per tempo.

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