A un anno dall’ennesima vittoria di Aleksandr Lukashenko alle elezioni del 9 agosto 2020, la repressione delle opposizioni e della libertà di stampa in Bielorussia non si è mai fermata. Le manifestazioni di un anno fa contro l’autoritarismo di Lukashenko e i brogli elettorali avevano richiamato l’attenzione dei paesi europei e delle organizzazioni internazionali. Ma la persecuzione sistematica di giornalisti e media, che coinvolge anche le testate straniere, rende difficile mantenere quel livello di attenzione.

«Dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto 2020, i media indipendenti bielorussi hanno vissuto le più brutali repressioni dall’indipendenza della Bielorussia nel 1991», si legge in un rapporto di Reporter senza frontiere (Rsf). La battaglia contro la libertà di stampa è parte integrante della politica del governo che mira a eliminare qualsiasi spazio di informazione al fine di monopolizzare tutti i contenuti. L’obiettivo è quello di impedire un’informazione libera, plurale e indipendente che racconti la reale situazione del paese, mettendo in atto una repressione che Rsf definisce «massiva, sistemica e duratura».

Il numero di violazioni, secondo i dati raccolti dall’Associazione bielorussa di giornalisti nel 2020, risulta 8 volte superiore rispetto alla media del decennio 2010-2019. Un totale di 856 casi di arresto, detenzione, cause amministrative e penali, contro una media di 104,8. Nello specifico l’associazione parla di 447 detenzioni nel 2020: 97 i giornalisti in carcere nell’ambito di un processo amministrativo, almeno 62 hanno subito violenze da parte delle forze di sicurezza e 15 rappresentanti della stampa sono stati incriminati nell’ambito di un procedimento penale. Nel 2021 la situazione non è cambiata, anzi si può dire peggiorata poiché le autorità hanno iniziato a perseguire i giornalisti con accuse formali e procedimenti penali.

Le modalità di repressione

La repressione della libertà di stampa ha assunto diverse forme, dalle più manifeste alle più subdole. Restrizioni di accesso a internet, blackout della connessione, censura, licenziamenti, sono alcuni degli strumenti con cui le autorità limitano la libertà dei giornalisti. Già nei giorni successivi alle elezioni il governo aveva impedito la circolazione di notizie, attraverso il blocco della rete dati dei cellulari. È stato poi bloccato l’accesso ai siti web di molti media indipendenti (almeno 50 siti di informazione). Sono numerosi i quotidiani indipendenti che hanno dovuto sospendere la propria attività a causa dei divieti di stampa e distribuzione e le limitazioni hanno colpito anche i giornalisti stranieri, che si sono visti negare l’accredito.

Uno degli strumenti più comuni, con cui sono state esercitate pressioni, è il procedimento penale. Secondo Rsf, è un meccanismo messo in atto dal regime bielorusso da almeno trent’anni. Le detenzioni per accuse infondate sono prolungate e le garanzie dell’equo processo vengono violate. «Nel 2020-2021 i giornalisti sono stati perseguiti penalmente per il solo fatto di svolgere la propria attività professionale», dice Rsf. Dal 15 luglio 2021 infatti i gli operatori dell’informazione detenuti sono 29: tra questi, 12 sono in carcere nell’ambito del caso tut.by, un sito web indipendente che nel 2019 veniva letto dal 62,58 per cento di tutti gli utenti bielorussi e che si è visto revocare le credenziali giornalistiche.

Sono molti i giornalisti, bielorussi e stranieri, che hanno denunciato violenze fisiche, torture e trattamenti inumani durante le manifestazioni. Secondo il rapporto le responsabilità ricadono sul ministero degli Interni e, nello specifico, sulle unità speciali e su cellule non identificate che, con l’ordine di perseguire i giornalisti, hanno commesso violenze nelle strade, nei dipartimenti di polizia e nelle carceri. La repressione non è solo individuale, il regime ha un piano di soffocamento di tutti gli organi di stampa, attraverso la chiusura obbligata dei media, il blocco dei siti, le sanzioni, o il divieto di stampa o di diffusione.

Le testimonianze

Iryna Arakhouskaya, una giornalista freelance che collaborava con il canale televisivo The Belsat, è stata ferita alla gamba da una pallottola di gomma. Stava seguendo le manifestazioni del 10 agosto a Minsk ed è stata inseguita da un agente della sicurezza «Quando alcune persone con il volto coperto e uniformi nere si sono avvicinate a un gruppo di giornalisti, ho smesso di filmare e ho iniziato a correre. Due persone con uniformi nere e volto coperto e lunghi fucili ci hanno inseguito. In quel momento, uno dei due mi ha sparato e io ho continuato a correre», racconta.

«Qualcuno mi ha dato un calcio in faccia. Quando sono caduto, due persone hanno iniziato a calciarmi e colpirmi con dei bastoni. Mi hanno dato circa 10 colpi. Gli stessi agenti mi hanno portato su un autobus, continuando a colpirmi nello stesso modo», dice Yan Roman, un giornalista di Televizija Polska che stava raccontando le manifestazioni a Hrodna l’11 agosto 2020 ed è stato arrestato e portato nel dipartimento di polizia. A causa dei pestaggi ha perso quattro denti, ha avuto un ematoma all’occhio, una frattura al braccio sinistro e numerosi lividi e abrasioni.

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