Da oggi il Regno Unito sarà diviso in tre tipi di zone, ad allerta media, alta e molto alta, in base ai contagi. Con la seconda ondata di Covid-19, il paese si trova in un momento critico, e con questo anche il premier, Boris Johnson.

Il piano a tre

Il paese conta nel complesso seicentomila casi e 42mila morti; i contagi giornalieri sono circa 14mila e i ricoverati (3.500) sono più che a marzo, quando Johnson – dopo aver inseguito l’illusione dell’immunità di gregge – si decise a imporre il lockdown. «Ma non credo che fermare ancora l’economia sia la strada giusta», ha detto il premier davanti all’aula di Westminster. «Però se non facciamo nulla, il sistema va al collasso: servono nuove abitudini». E allora, per le zone a rischio medio, cioè la maggior parte del paese, varranno le restrizioni già in corso: rule of six (non ci si incontra in più di sei) e coprifuoco alle 22 (per il settore dell’accoglienza e cioè divertimenti, cibo, bevande). Le aree ad allerta alta avranno ulteriori restrizioni anche per gli incontri privati.

Liverpool, città tra le più colpite assieme ad alcune zone nel nord dell’Inghilterra, sarà la prima a sperimentare la «allerta molto alta»: lì chiuderanno pub, palestre e altre attività. «Non mi sembra che lei abbia davvero un piano, finora le sue iniziative sono state tardive e inefficaci», ha detto in aula il leader dell’opposizione, il laburista Keir Starmer. Se l’Inghilterra si ammala, dal canto suo pure la leadership non sta molto bene: tra gli stessi conservatori, il malcontento cresce. Già un ampio gruppo di tories ha minacciato la rivolta e ha contestato Johnson per il suo Internal market bill (il provvedimento che “tradisce” l’accordo di divorzio con l’Ue).

Ora tra i laburisti c’è chi lancia esche per un “governo di responsabilità”. «Di fronte a una crisi così grave facciamo l’interesse del paese: questo premier è incapace, discutiamo su come rimpiazzarlo», ha detto il laburista John McDonnel. Ma cosa ha fatto (e non ha fatto) Johnson per attirare questo malcontento?

L’immunità di gregge

Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito si confronta per la prima volta pubblicamente con l’arrivo dell’epidemia. A Newcastle ci sono due positivi, sono tornati dalla Cina. L’Italia deve ancora conoscere il caso di Codogno, e già Downing Street sa che il virus è arrivato sull’isola. Eppure per settimane tratta il problema come una pandemia di tipo influenzale, e segue una strategia elaborata quasi dieci anni prima.

Il piano lanciato nei primi giorni di marzo si basa su quattro fasi (contenere, ritardare, fare ricerca e mitigare) e cela l’intenzione di rallentare la diffusione del virus, non di arginarla. È la controversa teoria della “immunità di gregge”, resa esplicita a metà marzo dal consigliere scientifico del governo, Patrick Vallance. Negli stessi giorni, Neil Ferguson e i suoi colleghi dell’Imperial college mettono in guardia: se si continua così, “mitigando” invece di bloccare la diffusione del virus, ci saranno almeno 250mila morti. Preparatevi all’idea, arriva a dichiarare Johnson il 12 marzo, «molte altre famiglie perderanno i propri cari». Il passo falso ha scatenato così tante proteste, pure della comunità scientifica, da costringere il premier alla retromarcia: il 23 marzo ha imposto il lockdown (per poi cadere pure lui malato).

Le tre T

A quel punto il governo ha invertito la rotta: il nuovo slogan è diventato test, trace, treat (diagnosticare, tracciare i contatti e curare). Nonostante ciò, il governo ha continuato a inanellare scandali e passi falsi. Dopo il cambio di strategia, dottori e infermieri denunciavano ancora la mancanza di equipaggiamento e di dispositivi di protezione, al punto da minacciare le dimissioni di massa. «Siamo in imbarazzo nel dover scegliere tra il nostro mestiere e la nostra sicurezza», parole di 400mila infermieri. A fine aprile si è pure scoperto che il consigliere di Johnson, Dominic Cummings, si era intromesso agli incontri del comitato scientifico. E stando al Sunday Times, si era lasciato andare a esternazioni come: «L’immunità di gregge protegge l’economia; se significa morti in più, poco male». Sempre a fine aprile, il Financial Times denunciava l’incongruenza tra i dati del governo sui morti da Covid-19 (poco più di 17mila) e una valutazione indipendente (41mila morti, più del doppio). A inizio autunno, è risultato evidente che le tre T non hanno funzionato. L’impegno a testare c’è: tra il 9 marzo e il 20 settembre, l’UK ha fatto quasi 20 milioni di test, l'Italia la metà. Ma le necessità del nord del paese rimangono inevase.

Scandali esemplari

Quanto al tracciamento, lo “scandalo excel” parla da solo: più di 15mila persone contagiate tra 25 settembre e 2 ottobre sono rimaste fuori dal bollettino ufficiale, e come mai? La spiegazione, del 5 ottobre, è che «non entravano nel file excel» in cui vengono raccolti i casi. Come se non bastasse, quando si è trattato di imporre misure restrittive a livello locale, il governo Johnson ha discriminato (in positivo) le aree più ricche e le roccaforti conservatrici: alcune mail filtrate all’inizio del mese rivelano che, a parità di contagi, le zone più produttive – a livello economico, o in termini di consensi per i tories – sono state risparmiate dalle restrizioni. La lunga serie di inciampi fa capire perché, quando a fine settembre Johnson disse: «Abbiamo più contagi che in Italia perché i britannici hanno a cuore la loro libertà», non scatenò solo le ire del presidente Mattarella («abbiamo a cuore anche la serietà») ma pure quelle di tanti inglesi.

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