Il nuovo quinquennato di Emmanuel Macron si apre all’insegna delle donne: una prima ministra Elisabeth Borne; Yaël Braun-Pivet come presidente dell’Assemblea nazionale, Aurore Bergé come capogruppo di Renaissance (il nuovo nome della République en marche).

A rafforzare l’onda rosa ci si sono messi anche altri partiti: i vicepresidenti dell’Assemblée saranno quasi tutte donne come la socialista Valérie Rabaut, Naïma Moutchou di Horizons (il partito dell’ex premier Edouard Philippe, alleato con Renaissance), la centrista Modem Elodie Jacquier-Laforge e Caroline Fiat degli Insoumis di Mélenchon. Repubblicani e lepenisti hanno invece indicato uomini. La premier ha deciso di presentarsi davanti all’emiciclo per il discorso di politica generale senza chiedere il voto di fiducia. Si tratta di una sua facoltà: secondo la costituzione della quinta repubblica la fiducia non è un obbligo ma una tradizione.

Senza fiducia

Foto AP

Prima del governo Borne, altri quattro esecutivi non avevano chiesto il voto: Maurice Couve de Murville nel 1968, Michel Rocard nel 1988, Edith Cresson nel 1991 e Pierre Bérégovoy l’anno successivo. L’assenza della fiducia non dipende solo dal rischio di andare sotto (e dover rassegnare subito le dimissioni) ma dalla gestione dei calcoli parlamentari.

Con un’assemblea così composita inizia una nuova era per la Francia, in cui conteranno sempre di più i giochi di sponda in parlamento. In questi ultimi giorni, infatti, mentre gli Insoumis avevano già detto che avrebbero votato contro in ogni caso (minacciano anzi di presentare una mozione di sfiducia/censura come permette loro la costituzione), il Rassemblement National (estrema destra) aveva fatto girare la voce che si sarebbe astenuto in caso di fiducia, dando così la possibilità al governo di passare ma ritorcendogli contro accuse di ambiguità. Che legittimità per un governo che nasce con l’astensione lepenista?

Film italico

La navigazione della maggioranza dovrà tener conto di queste manovre e sarà necessario avere deputati abili nel girare a vantaggio dei macronisti la divisione delle opposizioni.

Si tratta di un film tutto “italiano” che in Francia si conosce poco dalla fine della quarta repubblica. D’altro canto non è la prima volta che contano giochi parlamentari. François Mitterrand fece l’ouverture, la grande apertura al centro, appellandosi ai centristi di Raymond Barre per staccarli dalla destra francese.

In parte ci riuscì favorito dal fatto che alle legislative del 1988 l’Udf (il centro liberale) aveva sopravanzato i gollisti per la prima volta. L’Udf era una costruzione particolare composta da liberali, repubblicani, radicali e democristiani.

Furono soprattutto questi ultimi, il centro democratico sociale Cds di Pierre Méhaignerie e Bernard Stasi, ad aderire all’appello di Mitterrand. Si creò in quella fase la sindrome della corsa al centro, sia da parte socialista che del centrodestra non gollista, favorendo il presidente che per indebolire i gollisti aveva cambiato legge elettorale provocando l’elezione di 35 deputati del Front National di Jean-Marie Lepen.

I responsabili

Il sistema francese della quinta repubblica fonda la sovranità sull’inquilino dell’Eliseo che nei confronti della propria maggioranza parlamentare non media ma arbitra e le sue decisioni sono senza appello. Ciò non aiuta il modello istituzionale transalpino ad essere elastico, flessibile, cioè coalizionale.

Tuttavia la necessità di una “maggioranza presidenziale” può creare un effetto di attrazione in favore della governabilità. È ciò che in Italia chiamiamo il metodo dei “responsabili”. Nell’attuale fase Macron sta tentando questa via, complice anche la scomposizione della sinistra in vari gruppi e il rifiuto dei gollisti di formare un governo di coalizione.

La ricerca dei responsabili transalpini sarà in parte affidata agli alleati centristi del Modem (48 seggi) di François Bayrou (già membro del Cds) e di Horizons (30 seggi) dell’ex premier Edouard Philippe (già gollista), che stanno acquistando più spazio dentro il patto con Renaissance (172 seggi) come si è visto nel recente rimpasto di governo.

L’interesse di Bayrou è di far sopravvivere in parlamento una forza di centro che si distingua dalle ali estreme. L’interesse di Philippe è di succedere a Macron. I due sono destinati a lavorare assieme per condensare una maggioranza all’Assemblea su ogni provvedimento.

A facilitare il compito di Bayrou (certamente il più abile nei giochi parlamentari) e Philippe c’è il fatto che i precedenti capi di Renaissance non sono stati rieletti (né Richard Ferrand presidente dell’Assemblea uscente, né Christophe Castaner già ministro e capogruppo), decapitando i macronisti e costringendo a nuove scelte.

Pare che sia la neo presidente Braun-Pivet che la capogruppo Aurore Bergé non fossero la prima scelta di Macron ma che si siano imposte da sole su altri candidati (uomini). Entrambe sono dotate di forte carattere e sono molto combattive.

Sarà da vedere se riusciranno ad andare d’accordo tra di loro e con la prima ministra: condizione necessaria per non incorrere in passi falsi. C’è anche chi sostiene che Macron già stia pensando di sciogliere l’assemblea per andare a nuove elezioni: un calcolo tuttavia rischioso se si guarda ai precedenti e alla situazione del corpo sociale francese.

Polarizzazione e frammentazione

L’elettorato potrebbe non reagire favorevolmente. Infatti la vera difficoltà sarà quella di gestire il radicale mutamento in corso: una doppia contraddittoria spinta alla polarizzazione e alla frammentazione che stanno avvenendo contemporaneamente.

Sarà necessario reinventare il centrismo macroniano non tanto in funzione dei poteri presidenziali (intatti da un punto di vista istituzionale) ma della sintonia con una società sempre più turbolenta e incerta.

Si tratta di una specie di long Covid politico, quello dei gilets jaunes, che ha aiutato nelle urne le ali estreme e sta investendo ora uno scenario politico non abituato ad adattarsi alle spinte dal basso. All’epoca delle manifestazioni e dei blocchi stradali, si videro molti anziani neo pensionati costituire il nerbo dei presidi antigovernativi.

La tanto attesa riforma delle pensioni dovrà tenerne conto ma soprattutto sarà necessario considerare l’opposizione assoluta dei ceti medi e bassi ad ogni aumento del costo dei trasporti e della benzina, anche se provocati dalla guerra in Ucraina così come delle conseguenze sull’agricoltura. 

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