Fino a un paio di anni fa, la squadra degli stretti alleati di Donald Trump era composta da personaggi che non davano una grande sensazione di affidabilità: avvocati fan di teorie del complotto strampalate come Sydney Powell o Lin Wood, o figure politiche un tempo stimate finite nel ridicolo come Rudy Giuliani.

Oggi questo mondo è radicalmente cambiato e l’organizzazione per la rielezione di Donald Trump appare come una macchina ben oliata capace di operare su vari fronti.

Non solo facendo pressioni sul Congresso per far partire un’indagine contro il presidente Joe Biden, operazione che ha lo scopo di tenere in scacco il debole speaker Kevin McCarthy, schiacciato in una tenaglia tra moderati che temono di non essere rieletti nel 2024 e una pattuglia di storici alleati trumpiani pronti a rispondere immediatamente ai desiderata dell’ex inquilino della Casa Bianca.

I membri del team elettorale trumpiano stanno cercando anche di cambiare le regole della scelta dei delegati da parte dei singoli stati per le primarie presidenziali del 2024.

Un cambio molto radicale rispetto alla strategia improvvisata del 2016, dove con uno staff relativamente ridotto l’allora tycoon riuscì a conquistare la nomination dopo una lunga battaglia durata diversi mesi nei confronti del senatore del Texas Ted Cruz, allora suo principale avversario.

Oggi la squadra dell’ex presidente punta a conquistare prima i leader statali del Partito repubblicano, poi gli elettori, che peraltro appaiono già ampiamente convinti, almeno per quanto riguarda i militanti che vanno a votare nelle consultazioni partitiche.

L’esempio principale riguarda i delegati della California: anche se il Golden State è una roccaforte democratica che è quasi impossibile possa venire conquistata da Trump nel novembre 2024, i suoi delegati sono comunque 169, il bottino maggiore di tutti gli stati americani.

Fino a pochi mesi fa, l’assegnazione era proporzionale, poi gli alleati di Trump sono riusciti a far passare una mozione lo scorso luglio: qualora un candidato prenda più del 50 per cento dei voti, conquisterà tutti i delegati.

Un colpo di mano che serve per tagliare le gambe al suo principale avversario, il governatore Ron DeSantis, che non può contare su un simile livello di potere, dicendo però per bocca del suo portavoce elettorale Ken Cucinelli che è concentrato «sulla conquista degli elettori» e che vorrebbe evitare che la competizione elettorale venisse «truccata».

Alleanze trasversali

Una risoluzione simile è passata anche nel vicino Nevada con lo scopo di velocizzare la nomination dell’ex presidente di modo che le risorse possano essere concentrate quanto prima nella campagna elettorale vera e propria contro il presidente uscente Joe Biden.

Una strategia simile è stata attuata al Congresso: Trump non si affida più soltanto al cosiddetto Freedom Caucus, una corrente di estrema destra finora considerata il suo braccio armato al Congresso.

Non solo per quanto riguarda l’impeachment, ma anche per l’approvazione di un disegno di legge di rifinanziamento del governo federale sul quale lo speaker McCarthy ha tentato invano una conciliazione tra gli opposti.

A guidare la carica contro il compromesso, c’è uno degli storici alleati dell’ex presidente, il deputato della Florida Matt Gaetz, che ha bocciato una risoluzione per far cessare subito l’impasse e votare il provvedimento.

A sorpresa però con lui c’è un moderato come Marc Molinaro, newyorchese a rischio rielezione, che con il collega ultrà trumpiano condivide l’ostilità nei confronti di McCarthy. Questa strana cooperazione ha stretto McCarthy in una morsa, anche perché una sua mano tesa nei confronti dei democratici scatenerebbe una prevedibile mozione di sfiducia, possibilità che lo speaker ha approvato lo scorso gennaio, quando faticava a trovare i voti necessari per la sua elezione.

Una campagna quella di Donald Trump che dunque si muove su più fronti e ha davanti a sé soltanto l’implacabile ostilità del leader al Senato Mitch McConnell, i cui problemi di salute però fanno ben sperare l’ex inquilino della Casa Bianca, che vorrebbe sostituirlo con un altro esponente a lui più vicino come John Barrasso, attualmente il numero 3 del gruppo repubblicano al Senato.

Appaiono quindi lontani i giorni del lancio della sua candidatura nel novembre 2022, dove nella sua residenza di Mar-a-Lago si facevano vedere solo personaggi controversi e figure corsare come il produttore di cuscini Mike Lindell, il commentatore di origine ungherese Sebastian Gorka e il consulente Roger Stone.

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