Tra le delegazioni che parteciperanno anche quella italiana con 150 cittadini «preoccupati perché si sentono abbandonati dal governo», spiega la portavoce del movimento, a proposito della nota con cui la Farnesina chiarisce che non fornirà assistenza consolare ai cittadini. Un modo per disincentivare la partecipazione: per il diritto internazionale non si può negare a priori
Un movimento indipendente, apolitico. Fatto di persone che chiedono il rispetto della dignità umana. Questa è la Global march to Gaza, la mobilitazione civile internazionale che partirà da Il Cairo, capitale dell’Egitto, il 12 giugno, per raggiungere il 15 Rafah, il valico lungo il confine con la Striscia di Gaza.
Con l’obiettivo di «negoziare l’apertura del terminal con le autorità egiziane, in collaborazione con ong, diplomatici e istituzioni umanitarie, in modo pacifico», spiega Antonietta Chiodo, portavoce della delegazione italiana: «Per fermare il genocidio del popolo palestinese», dice ricordando che, fatta eccezione per le esigue parole di condanna, molto poco è stato fatto dal governo italiano per contrastare l’aggressività di Israele.
«Non si tratta solo di un sostegno simbolico. Vogliamo fornire aiuti umanitari con una forte presenza civile per creare pressione morale e mediatica. Se gli stati falliscono, la gente deve intervenire», si legge sul sito della Marcia globale a cui hanno aderito le delegazioni di 54 Paesi nel mondo.
Tra queste, anche quella italiana, «con circa 150 cittadini. Che sono preoccupati perché si sentono abbandonati dal governo», spiega Chiodo riferendosi alla nota pubblicata dal ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale a proposito della marcia.
La Farnesina
Nel testo che si legge su viaggiaresicuri.it, nella scheda-paese dell’Egitto, si avvertono i cittadini della pericolosità della mobilitazione e che il governo italiano non è coinvolto nell’organizzazione. Ma non soltanto. C’è anche scritto che l’iniziativa potrebbe essere finalizzata a portare aiuti direttamente dentro la Striscia, mentre Global March specifica che non è così. E che, visto che l’avvicinamento all’area del conflitto comporta seri rischi, «non può essere garantita alcuna forma di assistenza consolare».
Un’affermazione se non completamente illegittima, volutamente ambigua. Che sembra scritta per disincentivare la partecipazione, spaventare i cittadini, più che per informarli sull’effettiva pericolosità.
«Va detto che l’assistenza consolare non garantisce il rilascio del cittadino o il suo trasferimento in Italia. Ma comporta il supporto da parte delle autorità italiane», spiega Giulia Ciliberto, professoressa di diritto dell’Unione europea. Che subito ricorda come, per la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, se da un lato il cittadino in territorio straniero ha il diritto di accedere all’assistenza consolare, dall’altro non è un obbligo dello Stato fornirla. Ma una scelta discrezionale, di natura politica.
«Anche se, negare ex ante e in toto l’esistenza di un obbligo di tutelare è una semplificazione eccessiva», chiarisce ancora Ciliberto: «Perché interviene il diritto internazionale dei diritti umani. Secondo alcune interpretazioni, esistono condizioni sulla cui base uno Stato è tenuto a agire: la conoscenza della situazione in cui versano i propri cittadini, l’imminenza della violazione dei loro diritti fondamentali, la possibilità concreta di agire». Condizioni che potrebbero verificarsi nel caso in cui in Egitto un cittadino italiano venisse arrestato dalle autorità locali.
Non se a sequestrarlo fossero gruppi terroristici attivi nel governatorato del Sinai del nord: «Quindi, partecipare alla Marcia comporta un certo grado di rischio. Ma, a fronte di opportune segnalazioni da parte della Farnesina, non pare corretta la negazione aprioristica e generalizzata dell’impossibilità di garantire assistenza consolare, essendo sempre necessario operare una valutazione caso per caso».
Una scelta politica
Dello stesso parere della professoressa è anche Giacomo Gnemmi, avvocato esperto in diritto dell’immigrazione, che aggiunge: «Se i cittadini italiani non varcano il confine egiziano, non si può in linea teorica escludere l’assistenza consolare, poiché l’Egitto è coperto dalla rete diplomatica italiana.
Così, la Farnesina può legittimamente avvertire che in quella specifica area l'assistenza potrebbe non essere prestabile per impedimenti oggettivi e di sicurezza. Ma una formulazione assoluta del tipo “non sarà garantita assistenza consolare” è a mio avviso suscettibile di contestazione sotto il profilo della trasparenza».
Anche per Chiodo, infatti, non c’è alcun dubbio: si tratta di una scelta politica. Un modo per scoraggiare, visto che non possono vietarla, la partecipazione dell’Italia alla Global march to Gaza di cui fanno parte anche la nave umanitaria Madleen della Freedom Flotilla Coalition fermata dalle forze israeliane mentre provava a rompere il blocco della Striscia e le carovane tunisina e algerina già pronte a partire.
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