Caso Epstein, si dimette dal Congresso la paladina Maga Marjorie Taylor Greene

La deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, finita in rotta di collisione con Donald Trump, ha annunciato le sue dimissioni dal Congresso. Il suo ultimo giorno in servizio sarà il 5 gennaio 2026. Le dimissioni nel corso della legislatura sono un evento rarissimo nella politica americana e quando si verifica è di solito per seri motivi personali. Chi decide di abbandonare il Congresso semplicemente annuncia che non si ricandiderà alle elezioni successive, che nel caso dei deputati sono sempre dietro l’angolo, visto che la Camera si rinnova per intero ogni due anni. My message to Georgia’s 14th district and America. Thank you. pic.twitter.com/tSoHCeAjn1 — Marjorie Taylor Greene 🇺🇸 (@mtgreenee) November 22, 2025 Greene lascia invece il posto in aperta polemica con Trump e lo fa con un tempismo irrituale per massimizzare il danno politico per il fronte Maga, che è in un processo di rapido deterioramento. In un un lungo video la deputata dimissionaria ha detto che non vuole «dover sostenere una campagna odiosa e dannosa alle primarie contro di me da parte del presidente per cui tutti ci siamo battuti», circostanza che il presidente ha promesso dopo che Greene ha sostenuto la campagna per la pubblicazione dei file di Epstein. Trump ha iniziato a chiamarla Marjorie “traitor” Greene, e l’epiteto di traditrice ha sobillato i pretoriani presidenziali. Da allora riceve minacce di morte online e la polizia è intervenuta almeno una volta presso la sua casa in Georgia per un sospetto allarme bomba. Le gaffe su Epstein, inflazione e follie. I repubblicani pensano al dopo Trump La polemica «È un’ottima notizia per il paese», ha detto Trump in una breve intervista telefonica con la Abc, specificando che non ha alcuna intenzione di parlare la deputata o di convincerla a cambiare idea. La tensione tra Greene e Trump è molto più profonda della questione dei file Epstein. La deputata ha iniziato a esprimersi in modo critico quando la Casa Bianca ha preso a investire ingenti energie e risorse sulla politica estera, mostrando aggressività e desideri di proiezione internazionale dopo anni di predicazione della dottrina “America First”. Per Greene era un tradimento del mandato del popolo americano. La deputata ha criticato aspramente il bailout dell’Argentina, i tagli alla sanità, le oscillazioni sull’immigrazione. Quando Trump ha detto che l’America ha bisogno di lavoratori qualificati dall’estero perché non ha abbastanza talenti in patria, lei ha dichiarato che presenterà una proposta di legge per abolire il programma di visti H-1B per i lavoratori altamente qualificati: «Io servo solo gli americani», ha detto. La settimana scorsa Trump ha dichiarato che nel collegio elettorale di Greene sono «stufi di lei e delle sue sceneggiate» e che «se si candiderà la persona giusta, avrà il mio pieno e incrollabile sostegno», segno che il conflitto aveva raggiunto un punto di non ritorno. Ma la decisione di dimettersi non era inevitabile. «Il piano Usa? È un inizio». Gli europei alle strette pagano il conto a Trump Più realista del re Greene è evidentemente convinta di avere difeso i principi Maga che Trump ha predicato e poi abbandonato, e la sua traumatica dipartita è il segno di un patto che si rompe. Il suo elettorato locale ha dato segni di essere dalla sua parte, e giusto la settimana scorsa la responsabile del partito nella contea di Walker ha esordito in un comizio dicendo che «mamma e papà sono separati». E poi ha dato ampi segnali che il partito locale è con la madre. A differenza di altri membri riottosi del partito, come il libertario Thomas Massie, Greene è una creatura del trumpismo. Quando è stata eletta, nel 2020, era la prima adepta del culto complottista QAnon a finire al Congresso, portavoce naturale di un movimento che si stava estremizzando e oggetto di ritratti macchiettistici da parte dei media mainstream. Nessuno quanto lei ardeva dal desiderio di “prosciugare la palude” di Washington e rovesciare l’élite globalista. Nel tempo, le cose sono cambiate. Lei si è è pentita della sua fase QAnon, ha ammesso che si è fatta trascinare in un gorgo online, ha iniziato a lavorare su alcuni temi con la leadership del partito al Congresso, ha preso a occuparsi di questioni politiche e non solo di occupazione dello spazio mediatico. Ma la palude non si prosciugava, e l’amministrazione parlava più spesso di Israele, Iran, Ucraina e Venezuela che degli americani impoveriti della rust belt, dei senza voce della sua Georgia. Il divorzio stava maturando sotto traccia da tempo, i file di Epstein sono stati soltanto il casus belli.