Cari lettori e care lettrici di Weilai, prima di riprendere, la settimana prossima, il nostro formato abituale, anche in questo numero della newsletter ho il piacere di proporvi un estratto dal mio libro Una Cina “perfetta”: la Nuova era del PCC tra ideologia e controllo sociale (Carocci editore). Questa volta parliamo dell’importanza dell’ideologia nella Cina di Xi Jinping.

Il 30 settembre 2018, alle 19:30 di una domenica vigilia della settimana di ferie per le celebrazioni della fondazione della Repubblica popolare, Hunan tv mandò in onda la puntata d’esordio di Il socialismo è figo: nella Nuova era studiamo Xi, primo quiz televisivo dedicato a un leader politico cinese. A condurre il gioco, una presentatrice travestita da principessa Leila di Guerre stellari; al robot C-3PO (con la bandiera rossa a cinque stelle e la data 2050 appiccicate sul petto) il compito di rivolgere le domande ai concorrenti; due professoroni di marxismo (uno dell’Università dello Hunan, l’altro della prestigiosa Beida di Pechino) chiamati a valutare e integrare le risposte degli sfidanti (iscritti ai migliori atenei del paese) a quesiti come: «Quando Xi – durante la Rivoluzione culturale – fu spedito nelle campagne della provincia dello Shaanxi come “giovane istruito”, per prendere in prestito quale libro percorse a piedi 15 chilometri?», oppure «Quale fu il soggetto della sua politica di riforma all’epoca del suo soggiorno nello Hebei?».

Quello show, del quale furono trasmesse cinque puntate, serviva al Partito per spiegare e pubblicizzare il «pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era»... intrufolandosi fin dentro i salotti delle famiglie.

Grazie anche all’apporto delle co-produzioni, dei format e dei professionisti stranieri, dalla fine degli anni Novanta il boom della televisione ha fatto nascere oltre tremila canali, nazionali e provinciali, tutti – così come gli altri media – controllati dal Pcc. Tuttavia, la potenza di fuoco del Dipartimento di propaganda non è di per sé sufficiente a garantire l’indottrinamento di massa in un paese in cui milioni di ex contadini e giovani lavoratori precari continuano a migrare a caccia di nuove opportunità verso Zhengzhou, Wuhan, Chongqing... le metropoli più dinamiche del centro e dell’ovest che si espandono aprendosi a merci, mode e idee in arrivo dall’estero.

Per questo motivo, mentre la Cina diventava sempre più globale, Xi Jinping e compagni hanno provato a ricreare una base ideologica attraente che potesse fungere da collante nazionale, plasmando un complesso di teorie e valori di pensatori ed epoche diverse, talvolta apparentemente incompatibili. Come uno huŏ guō (hot pot), la marmitta mongola dove i commensali mettono a bollire carne, pesce e verdure in un brodo succulento, così lo Xi-pensiero mescola marxismo, filosofia cinese classica e un’abbondante dose di patriottismo, e si esprime attraverso un linguaggio vivo, a tratti emozionale.

E se quest’eterogeneità dottrinaria si rivelasse uno dei punti di forza della Nuova era?

All’indomani del massacro di Tiananmen, Deng Xiaoping ammise che «durante gli ultimi dieci anni, l’errore più grosso lo abbiamo compiuto nel campo dell’educazione, anzitutto quella ideologica e politica, non soltanto degli studenti ma del popolo in generale». Memore di questa lezione, Xi ha messo in atto un piano per conquistare le menti dei cinesi che, per intensità e risorse mobilitate, non ha precedenti nelle amministrazioni post-Mao. E così oggi, negli striscioni rossi appesi per strada, nella martellante propaganda culturale, nel monitoraggio di Internet, riecheggia l’imperativo del Grande timoniere secondo cui «la leadership del controllo del pensiero costituisce la priorità assoluta per mantenere la leadership complessiva».

L’importanza della teoria nell’esercizio del potere continua a essere sottovalutata, quando non sbeffeggiata, dalla stragrande maggioranza degli osservatori occidentali, ciechi di fronte alla riaffermazione di un sistema di valori in Cina, dove – secondo il loro scetticismo post ideologico – il maoismo fu l’unico credo doc, mentre negli ultimi decenni, al posto del comunismo, sarebbe stata promossa soltanto la confortevole alternativa del consumismo.

E invece, mentre in occidente i partiti hanno smesso di proporre valori e ideali, in Cina avviene il contrario. Quello dell’elaborazione teorica da parte del Pcc è un processo ininterrotto che assume maggiore importanza a mano a mano che la società e l’economia si sviluppano e diventano più complessi. Grazie a questo lavoro il Partito rilegittima il suo diritto a guidare il paese, rafforza le sue competenze, aumenta i suoi sostenitori, e adatta le sue politiche alle nuove condizioni. Non a caso in Cina si assiste a un proliferare di think tank (507, contro i 1.871 degli Stati Uniti), compresi quelli incaricati di arricchire e aggiornare il pensiero di Xi Jinping.

Nella Repubblica popolare cinese l’ideologia ebbe un ruolo centrale dalla fondazione (nel 1949) fino alla morte di Mao (nel 1976) e durante la Rivoluzione culturale (1966-1976) il paese cadde preda di un vero e proprio furore ideologico. Milioni di studenti ostentavano cartelli col carattere zhōng (忠, “fedele”… a Mao) dai finestrini dei treni che li portavano, come “giovani istruiti”, ad aiutare gli agricoltori nelle aree rurali, mentre le guardie rosse pretendevano di annientare la borghesia con le sedute di autocritica, i pestaggi e gli omicidi. Dopo la morte del Grande timoniere, quella fuga nell’utopia – che si era trasmessa fino ai movimenti della sinistra extra parlamentare europea durante gli anni Settanta – fu fermata nel 1978, quando il terzo Plenum dell’XI Comitato centrale del Partito lanciò la demaoizzazione: da Deng Xiaoping in poi, col suo “socialismo con caratteristiche cinesi”, la Cina diventerà sempre più pragmatica e meno ideologica.

Una tendenza che Xi Jinping ha invertito, al punto che – come ha osservato il politologo Kerry Brown – «nel XXI secolo, nel suo settimo decennio alla guida della Cina, il Pcc ha una fame d’idee che quasi eguaglia quella che il paese ha di risorse ed energia per trainare la sua economia». A soddisfare questo appetito sono deputati due organismi, entrambi presieduti dal membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico responsabile della propaganda: il Gruppo dirigente centrale per la propaganda e il lavoro ideologico (creato nel 1957) e la Commissione d’indirizzo per la costruzione di una civilizzazione spirituale (istituita nel 1997). È in questi pensatoi pechinesi – il primo sotto l’autorità dell’Ufficio politico, il secondo di quella del Comitato centrale – che prende forma e sostanza l’ideologia ufficiale, disseminata attraverso il Dipartimento di propaganda e i suoi uffici in ogni angolo del paese.


Sotto l’ombrellone o nella baita in montagna, come nell’afa di chi è rimasto in città, non dovrebbero mancare le seguenti letture correlate:

China’s New Red Guards;

CEO China: The Rise of Xi Jinping;

The End of the Revolution.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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