La terribile strage al Crocus City Hall di Mosca fa riaffiorare nelle agende politiche e nelle percezioni di miliardi di individui un incubo che si riteneva se non rimosso, quanto meno sopito, la penetrazione dell’Isis e dei suoi innumerevoli gruppi affiliati in vari angoli di mondo.

Il progetto di costituzione di un Califfato nell’area di Iraq e Siria ha negli anni perso di consistenza e attuabilità e in quelle zone la presenza e l’influenza dei jihadisti si sono lentamente ridotte.

Purtroppo, però, il fenomeno non è coinciso con una sparizione progressiva quanto con un tentativo di capillarizzazione in altre aree. Il Khorasan, da cui proverrebbero gli attentatori di Mosca di qualche giorno fa, appartenenti all’Is-K, è certamente una di queste.

Ma è l’Africa il continente in cui l’Isis sta facendo più proseliti e attuando una graduale quanto spietata penetrazione negli ultimi anni.

Sono varie le conferme sul tema, una delle più autorevoli ci giunge dal think tank Washington Institute for Near East Policy. Esattamente un anno fa ha lanciato “The Islamic State Select Worldwide Activity Map”, uno studio di mappatura e profilazione delle attività terroristiche del gruppo estremista. E proprio un paio di giorni prima dell’attentato a Mosca ne ha presentato i primi risultati.

Dopo aver sottolineato come le “province" principali dell'Isis in Iraq e Siria siano ormai in uno stato di semiabbandono, ha aggiunto profeticamente che il gruppo è riuscito a diversificarsi grazie da una parte alla «provincia di Khorasan in Afghanistan (nota come Is-K) che guida operazioni esterne» e dall’altra a varie altre province che «stabiliscono il controllo territoriale in Africa».

Il quadro, secondo il think tank, sarebbe «preoccupante» anche considerando il contesto di «crescenti richieste di scioglimento della coalizione globale incaricata di combattere l'Is».

Oltre 1000 attacchi in un anno

Dal marzo 2023 ad oggi, l'Is ha rivendicato la responsabilità di 1.121 attacchi la maggior parte dei quali sono stati rivendicati dalla provincia dell'Africa occidentale (Iswap, con sede principalmente in Nigeria e nel sud-est del Niger, uno splinter group di Boko Haram con cui al momento è in aspro conflitto nelle aree del Lago Ciad, ndr), seguita dalle province dell'Isis in Siria, Iraq, Africa centrale (con una cellula, l’Adf, particolarmente attiva nella Repubblica Democratica del Congo) e Mozambico.

Come riporta uno studio dell‘African Center for Strategic Studies aggiornato alla fine dello scorso gennaio, negli ultimi mesi si è registrato un aumento degli attacchi in Africa il cui ovvio corollario è la crescita del numero di morti e feriti.

I decessi legati alla violenza militante islamista sono aumentati del 20 percento nell'ultimo anno (da 19.412 nel 2022 a 23.322 del 2023), un livello record mai raggiunto prima. L'83 percento delle vittime vivevano in Sahel e in Somalia, le due aree che hanno raggiunto un aumento annuale del 43 percento nel numero di morti.

Il ritmo è impressionante: «Solo nel mese di gennaio nel Sahel ci sono state 129 rivendicazioni da parte di al Qaida e dello Stato Islamico, qualcosa di completamente inimmaginabile solo qualche mese fa», commenta l’analista Pieter Van Ostaeyen, che studia il fenomeno da tempo.

Le rivendicazioni dell'IS-Mozambico sono leggermente diminuite a causa di dissidi interni alla leadership, ma, proprio dalla fine del 2023, la provincia è tornata all'offensiva.

Anche l'Iswap ha registrato una leggera flessione nelle rivendicazioni, ma ciò potrebbe essere attribuibile da una parte alla feroce guerra intestina contro Boko Haram e dall’altra al fatto che la cellula del Mali è assurta a provincia “sottraendo” a Swap la paternità di un certo numero di attacchi.

I foreign fighter

Un'altra tendenza preoccupante è l'aumento del controllo territoriale dell'Isis dopo anni di inattività grazie anche al contributo di foreign fighter.

Tali conquiste di posizioni si sono verificate in aree dell'Africa dove l'organizzazione appare oggi più forte sul campo, in particolare in porzioni del Mali, del Mozambico e della Somalia.

In queste zone, l’aspetto politico-militare si unisce a quello economico: si tratta infatti di aree ricchissime di materie prime, centri nodali dell’industria estrattiva. La mobilitazione sempre maggiore di foreign fighters da ogni dove fa pensare a una nuova strategia di controllo del territorio.

Il Washington Institute cita alcuni esempi significativi a questo riguardo. «Sei dei casi legali all'Isis in Marocco e Spagna nell'ultimo anno – cita il think tank - hanno coinvolto reti che reclutano combattenti per il Mali.
La Svezia starebbe diventando un nodo di reclutamento per i combattenti stranieri diretti in Somalia. Le autorità somale hanno arrestato diversi marocchini e siriani affiliati all'Is.
Le autorità filippine, invece, hanno arrestato sospetti belgi, egiziani e indonesiani, mentre alcuni sospetti indiani avrebbero cercato di recarsi nei punti caldi dell'Is-K in Afghanistan».

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