Quando si scrive di armi da fuoco occorre sempre una premessa: che meno ce ne sono in circolazione meglio è per tutti; che quelle in circolazione dovrebbero rimanere nelle mani di chi è legittimato ad usarle; e infine che chi è legittimato a usarle, cioè a sparare, lo faccia solamente in casi eccezionali.

L’uso di un’arma da fuoco ha infatti la capacità di trasformare un diverbio in un omicidio, rende uno squilibrato un implacabile boia e offre ai fanatici ideologici la possibilità di scrivere col sangue il loro messaggio delirante. In altre parole, le armi, pur non essendo pericolose per sé, lo diventano quando cadono nelle mani sbagliate. Quanto importante sia controllare e limitare l’accesso alle armi ce lo indica l’ attitudine degli operatori criminali gestori dell’offerta clandestina di armi i quali, in tempi recenti, hanno necessariamente giocato un ruolo importante nel disinnescare il potenziale omicida dei gruppi terroristici in Europa. Il ricorso da parte dei loro lupi solitari agli attentati all’arma bianca o attraverso l’uso di veicoli stradali altro non è infatti che l’effetto del restringimento dell’accesso ai mercati clandestini delle armi e delle munizioni ad opera da chi ne controlla l’offerta.

Armi che uccidono

Prodotte e commercializzate lecitamente le armi e il loro uso (regolato ed eccezionale) sono un necessario strumento per il mantenimento dell’ordine, sia esso internazionale o interno, grazie alla loro funzione deterrente e al loro necessario uso come risposta all’uso della violenza. Sfortunatamente però, le armi, come tanti altri strumenti pericolosi ma legali, circolano attraverso mercati paralleli e illegali. Mi riferisco in particolare a pistole e fucili, siano questi manuali, semi automatici, automatici e pneumatici, che rientrano nella categoria giuridica delle armi da fuoco. Sono queste le armi da fuoco più diffuse nel mondo e che provocano maggiori danni.

Ogni anno più del 50 per cento di tutti gli omicidi registrati nel mondo (467mila nel 2017 secondo le stime dell’ Ufficio delle Nazione Unite contro la droga e il crimine - Unodc) sono commessi con l’uso di queste armi da fuoco. Questa percentuale varia però da regione a regione fino ad arrivare allo spaventoso 74 per cento del continente americano dove il facile accesso alle armi, legali e illegali, fa sì che due omicidi su tre dei 176mila registrati nel 2017 fossero il prodotto del loro abuso.

Il Protocollo

Controllare l’accesso alle armi da fuoco e la loro circolazione, disarmare chi ne è illegittimamente in possesso e perseguire chi le traffica sono quindi obblighi fondamentali di ogni stato di diritto che vuole garantire la pace sociale, minimizzare l’impatto della violenza e riaffermare la sua legittimità attraverso il monopolio del ricorso alla violenza. Questi obiettivi sono alla base del Protocollo contro il traffico illecito delle armi da fuoco, parti e componenti e munizioni, allegato come complemento della Convenzione internazionale contro il crimine organizzato transnazionale (Convenzione di Palermo).

Adottato ufficialmente dall’Assemblea generale delle Nazione Unite solamente nel maggio del 2001, cinque mesi dopo l’adozione della Convenzione di Palermo, il Protocollo sulle armi ha scontato e continua a pagare una certa diffidente ostilità da parte di alcuni stati. Entrato in vigore nel 2005 grazie soprattutto alle ratifiche dei paesi africani e dell’America latina, il Protocollo conta oggi 120 ratifiche, poche rispetto alle 190 della Convenzione di Palermo. In ottemperanza a questo protocollo nel 2020 Unodc ha publicato il suo secondo rapporto sui progressi nell’implementazione del protocollo e sulle dinamiche dei mercati illeciti delle armi da fuoco. Nonostante la paucità delle informazioni ufficiali, il rapporto di Unodc offre interessanti spunti di riflessione.

Fatte per durare

Innanzitutto e contrariamente alla maggioranza dei beni trafficati attraverso mercati illeciti, le armi sono beni durevoli. Sono progettate e prodotte per durare nel tempo, sono fabbricate e commercializzate lecitamente, sono marcate e debitamente registrate e quindi, in principio, dovrebbero essere sempre rintracciabili. E solamente una parte relativamente piccola di loro finisce nei mercati paralleli e clandestini. D’altro canto, la produzione clandestina è praticamente quasi inesistente e si limita, generalmente, a pistole e fucili rudimentali.

In quanto prodotti durabili, una volta immesse nel mercato le armi possono continuare a svolgere la loro funzioni per innumerevoli anni se provviste di una manutenzione minima e di munizioni. È questo il caso dei mercati interni e regionali alimentati da ingenti stocks di armi automatiche e semi automatiche originariamente utilizzate in conflitti interni. Pur se prodotto negli anni Ottanta, un normale fucile mitragliatore o una pistola semi automatica hanno bisogno davvero di poco per continuare ad essere efficienti. La durabilità del prodotto implica che una volta entrata in un circuito clandestino la stessa arma possa essere rivenduta innumerevoli volte ed essere strumento per innumerevoli crimini commessi da differenti individui. Vista la loro potenziale pericolosità sono quindi gli stessi operatori dei loro circuiti clandestini che ne restringono la circolazione. Spesso le armi usate per la commissione di delitti patrimoniali (furti, rapine, ecc.) o per omicidi sono date in affitto dagli stessi gruppi criminali che operano sul territorio. Controllare la disponibilità e la circolazione delle armi diventa quindi compito imprescindibile per gli stessi operatori criminali al fine di evitare atti di violenza ingiustificata sempre dannosa al business e soprattutto per prevenire sanguinose e destabilizzanti scontri tra attori criminali.

Le munizioni

La stragrande maggioranza delle armi clandestine sono originariamente acquisite legittimamente e poi rivendute clandestinamente, oppure rubate al loro legittimo propietario. In alcuni casi, in particolare con le pistole, l’offerta può essere costituita da dotazioni ufficiali a forze di sicurezza pubbliche e private dichiarate perdute, rubate o dismesse. Dall’origine lecita delle armi illegali ne deriva quindi che minori sono gli ostacoli all’acquisto legale di un’arma, maggiori sono le possibilità che il mercato legale alimenti e promuova quello illegale.

Dal punto di vista economico e del mercato illegale delle armi, la domanda di nuove armi è generalmente limitata e risponde o al bisogno di sostituire armi dismesse e sequestrate o al desiderio di dotarsi di uno strumento tecnologicamente più avanzato e potente. Il volume dei pezzi trafficati è comunque limitato, e il valore del mercato irrisorio comparato a quello di altri mercati illegali a parità di rischi d’impresa. È infatti molto più lucrativo e meno rischioso trafficare dieci chili di eroina piuttosto che due fucili mitragliatori. Nel 2010, secondo uno studio sui principali mercati criminali nel mondo di Unodc, il traffico delle armi da fuoco alla frontiera fra Messico e Stati Uniti valeva intorno a 20 milioni di dollari contro i circa tre miliardi di dollari del mercato della cocaina sulla stessa frontiera.

Anche le modalità di traffico internazionale registrate dai sequestri operati nel mondo confermano la particolare struttura del mercato clandestino delle armi. Generalmente le armi si trafficano all’interno di uno stesso territorio o regione ed i sequestri internazionali rappresentano una piccola percentuale (10 per cento) dei sequestri operati. Le armi sono quasi sempre trafficate in piccole quantità (1-2 pezzi per volta), attraverso le frontiere terrestri e spesso su ordinazione (metodo “formica”). In altre parole, i grandi operatori criminali sono generalmente clienti, non operatori di questi mercati.

E infine le munizioni. Senza munizioni una pistola è meno letale di un martello ed un fucile di una zappa. La loro produzione e circolazione sfugge però a qualsiasi controllo ed assemblare munizioni non è difficile. La diffusa manifattura legale (ogni paese preferisce infatti dotarsi di proprie linee produttive) è spesso affiancata da tanti piccoli laboratori clandestini. Forse sta proprio nel controllo della produzione e circolazione delle munizioni la chiave per rendere le armi un oggetto da collezione invece che uno strumento di morte.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente riferibili al suo autore e non riflettono necessariamente quelle delle Nazioni Unite e dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga ed il Crimine (UNODC)

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