L’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio di quest’anno, che cade al culmine di un decennio di grandi cambiamenti dello scenario internazionale, impone all’Europa di rivedere le sue priorità strategiche e di compiere finalmente un salto di qualità in varie aree del processo di integrazione: energia, politica estera, sicurezza e difesa. Insieme all’Alleanza atlantica, la costruzione europea ci ha garantito settant’anni di pace e sicurezza, in un mondo con regole del gioco che oggi sono però in rapida trasformazione.

Sulla scorta di riflessioni avviate già da qualche anno, sia per l’Unione Europea che per la Nato il 2022 è un anno di importanti decisioni che tracciano il percorso fino al 2030, delineate dalla “Bussola Strategica per la sicurezza e la difesa”, approvata dal Consiglio europeo il 25 marzo, e dal nuovo Concetto strategico che il vertice dell’Alleanza atlantica adotterà a Madrid il 29 e il 30 giugno.

Scenario in mutamento

L’ascesa politica e militare della Cina, il riorientamento strategico di Washington verso l’Asia e la rinnovata aggressività della Russia: nell’ultimo decennio, come detto, il contesto internazionale è cambiato in modo significativo. Si pensi alle nuove minacce alla sicurezza, come quella cyber rivolta ad infrastrutture digitali sempre più diffuse (dai cavi sottomarini al cloud), le minacce ibride, i cambiamenti climatici, con il loro impatto sulla stabilità di vaste aree del mondo e sui flussi migratori, o ancora le ripercussioni della pandemia di Covid-19 sulle dinamiche politiche ed economiche globali.

Vi è poi la competizione serrata tra i principali attori globali sulle cosiddette “tecnologie emergenti e di rottura”, come l’intelligenza artificiale, il quantum computing, le capacità spaziali avanzate, ecc., nonché il confronto per il controllo delle materie prime critiche, come il litio, il cobalto o le terre rare, indispensabili per lo sviluppo delle tecnologie più avanzate e per le transizioni “gemelle” green e digitale.

Al quadro così delineato di un mondo «multipolare conteso», che segna il «ritorno alla politica di potenza» – per citare i termini utilizzati proprio nella Bussola strategica – si sommano da qualche mese le conseguenze dell’aggressione russa all’Ucraina, che vede l’acuirsi del confronto tra occidente e Russia e il vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia e di beni alimentari, con ricadute non solo in Europa ma soprattutto nei paesi meno sviluppati, specie in Africa e in medio oriente. L’analisi di queste minacce costituisce il punto di partenza della Bussola strategica europea.

Difesa europea più efficace

Per sfide nuove occorrono strumenti nuovi. La Bussola strategica compie un primo passo verso la costruzione di una difesa comune europea, puntando a rafforzare l’autonomia strategica e la resilienza dell’Ue.

Il documento propone una serie di azioni prioritarie, tra le quali: potenziare le missioni civili e le operazioni militari dell’Ue; sviluppare una capacità di dispiegamento rapido dell’Ue fino a 5mila militari; rafforzare le nostre strutture di comando e controllo; consolidare le capacità di intelligence; creare un pacchetto di strumenti contro le minacce ibride (compresa la disinformazione); aumentare e rendere più efficienti gli investimenti per la difesa; sviluppare insieme tecnologie abilitanti e di nuova generazione in tutti i domini operativi; utilizzare a pieno le cooperazioni strutturate permanenti (note come Pesco, dall’acronimo inglese) ed il Fondo europeo per la difesa.

Il conflitto in Ucraina ha riacceso in Europa il dibattito sulle spese militari. La Germania, con un cambio di passo di portata storica, ha deciso di aumentare le risorse per la difesa di 100 miliardi. Il progressivo raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento del Pil da destinare a tali investimenti, che risponde ad impegni assunti in ambito Nato, ha senso solo se coordinato con quello degli altri partner europei. Non serve solo spendere di più, ma anche spendere meglio. Bisogna evitare duplicazioni e sprechi di risorse, nonché una “corsa al riarmo” su base nazionale che finirebbe per generare nel continente maggiore insicurezza. Come ha sottolineato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel suo discorso al parlamento europeo, la spesa dei paesi europei per la difesa ammonta al triplo di quella della Russia, ma è frammentata in 146 sistemi di difesa, a fronte dei 34 di cui dispongono gli Stati Uniti.

Il 18 maggio la Commissione, di concerto con l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e l’Agenzia europea per la difesa, ha presentato un’analisi delle lacune negli investimenti per la difesa e ha proposto una serie di misure per rafforzarne la base industriale e tecnologica a livello europeo, razionalizzando le spese. A questo proposito, il Consiglio europeo del 30 e 31 maggio ha invitato il Consiglio ad esaminare nel dettaglio i prossimi passi, prima che il dossier torni sul tavolo dei leader europei, evidenziando, tra l’altro, che «lo sviluppo di una capacità dell’Ue in materia di programmazione strategica, appalti e coordinamento nel settore della difesa (deve avvenire) in complementarità con la Nato». Sul tema lavoreranno i nostri ministri degli Esteri e della Difesa.

Complementarità con la Nato

Il rafforzamento della difesa comune europea, come ha ricordato recentemente anche il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, va inteso quindi come consolidamento del “pilastro europeo” della Nato, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. È la composizione stessa delle due organizzazioni a suggerire questa naturale sinergia, con 21 paesi membri dell’Alleanza atlantica su 30 che fanno parte anche dell’Ue. Svezia e Finlandia, membri dell’Ue, a maggio hanno presentato domanda di adesione alla Nato.

La Danimarca, che è parte di entrambe le organizzazioni, alla luce del referendum tenutosi il 1° giugno, ha deciso di aderire alla politica di sicurezza e difesa comune dell’Ue, con l’eliminazione di una clausola di esenzione (“opt-out”) richiesta quasi trent’anni fa. Lo sviluppo della difesa europea va dunque intesa non in alternativa alla Nato, ma nell’ottica della complementarità e dell’interoperabilità con l’Alleanza atlantica. L’autonomia strategica che l’Ue persegue dev’essere “aperta”. Non va letta come “autonomia da” qualcuno o da qualcosa, ma come “autonomia per” essere in grado di fare di più e meglio, in piena sinergia con i partner, in primis con la Nato. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a fine 2021 ha riconosciuto il contributo che una difesa europea più forte può fornire alla sicurezza transatlantica e globale. Nella Bussola strategica ampio spazio è dedicato al potenziamento della cooperazione con la Nato, tema che l’Italia ha sostenuto con forza.

Anche il Consiglio europeo di fine maggio ha ribadito che le relazioni transatlantiche e la cooperazione tra le due organizzazioni sono «elementi essenziali per la nostra sicurezza generale».

La rilevanza politica del legame tra Ue e Nato – con l’Alleanza che resta l’unico forum di dialogo permanente nel quale le due sponde dell’Atlantico si confrontano quotidianamente – è stata riaffermata ancora una volta con la reazione, in piena sintonia, all’aggressione russa all’Ucraina.

L’Ue, con una decisione senza precedenti, si è impegnata a fornire supporto anche militare a Kiev, utilizzando i fondi dello Strumento europeo per la pace. Gli ambiti d’azione delle due organizzazioni si avvicinano sempre di più, in linea con la trasformazione del concetto di sicurezza che negli ultimi anni è divenuto via via più ampio, con confini gradualmente meno marcati tra la dimensione militare e quella civile, tra quella fisica e quella digitale.

Questo processo può schiudere in futuro ulteriori opportunità di collaborazione per Ue e Nato, basate sulla messa in comune delle rispettive esperienze. Per esempio sul cosiddetto “fianco sud” dell’Alleanza, dove l’Europa è attiva da anni con diverse missioni civili e operazioni militari nel continente africano (nove su un totale di diciotto attualmente in corso).

Nel mondo di oggi la sicurezza è un bene pubblico di cui i cittadini europei possono effettivamente beneficiare solo se è condiviso a livello continentale e con i nostri partner storici.

 

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