Le immagini delle mobilitazioni di sabato in tutta la Russia hanno dimostrato quella che è sempre stata la principale abilità di Aleksej Navalny: l’incitamento alla protesta. Da Vladivostok a San Pietroburgo centinaia di persone sono scese nelle strade di 112 città, – dalla fredda Yakutsk (-50°C) alla più mite Mosca (+3°C) – urlando “Putin ladro” e “Navalny libero” e cantando l’inno nazionale o, come in Bielorussa, la canzone “Peremen” (Cambiamento) di Viktor Tsoj.

Nei giorni precedenti, il sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin, ha esortato i moscoviti a non partecipare alla «manifestazione non autorizzata», rivolgendo un appello: «Chiedo ai genitori di fare attenzione e di non mettere i vostri figli a rischio a favore dei provocatori».

Nonostante tutti i tentativi delle autorità russe di contenere la protesta, ricorrendo anche alle interruzioni di alcuni operatori telefonici e l’oscuramento dei profili che invitavano alla partecipazione su Twitter, TikTok e VKontakte, si stima che 100mila persone abbiano accettato l’invito di Navalny in tutto il paese.

Sappiamo che in occasioni del genere, anche in occidente, vengono spesso diffusi dati contrastanti che rispecchiano le diverse parti in gioco. I media liberali hanno infatti parlato di 15mila persone presenti a Mosca mentre le autorità russe hanno dichiarato 4mila partecipanti.

Se teniamo conto che la capitale moscovita ha più di 12 milioni di abitanti, che si tratti di 4mila o 40mila persone, così come di 100mila o un milione in tutta la Russia, la proporzione fa poca differenza.

Mobilitazione a oriente

Tuttavia, questa volta la quantità cela un dato sostanziale: in diverse regioni periferiche, soprattutto nell’estremo oriente, la protesta rappresenta una crescente insoddisfazione nei confronti delle politiche del Cremlino, assumendo istanze che vanno ben al di là del “caso Navalny”.

In tarda serata vengono diffusi, invece, i numeri dei “fermi amministrativi” (entro 48 ore possono diventare arresti): 3.435 complessivi di cui 1.360 a Mosca, 523 a San Pietroburgo e oltre 90 a Novosibirsk, Nizhny Novgorod e Voronezh. In occasione delle elezioni comunali di Mosca nel luglio 2019 furono, invece, arrestate 1.388 persone che avevano condiviso la battaglia politica di Navalny per sostenere i candidati indipendenti contro il partito del potere Russia unita.

Navalny può contare su un “zoccolo duro” di sostenitori delle sue battaglie, specialmente tra i giovani (circa il 10 per cento) – la cosiddetta “generazione di Putin” – ma un’analisi sociologica condotta ieri a Mosca ha rivelato che l’età dei partecipanti è decisamente cambiata.

Quasi il 50 per cento degli intervistati appartiene alla classe d’età tra i 25-46 anni (il 20 per cento è over 47) e almeno il 42 per cento ha partecipato per la prima volta. Intanto dal carcere Navalny fa sapere che non nutre «alcuna intenzione suicida» e di avere «un cuore fortissimo», mentre sua moglie Yulia viene fermata e rilasciata qualche ora dopo.

L’inchiesta riciclata

Il ritorno dell’astuto Navalny in Russia dimostra che vi è un piano ben organizzato, probabilmente con l’aiuto dei servizi segreti occidentali, che è cominciato con la “spettacolarizzazione” dell’arresto, seguito dalla diffusione di un video-inchiesta di due ore, sottotitolato in lingua inglese, sul “palazzo di Putin”, che ha già raggiunto ormai 78 milioni di visualizzazioni, principalmente nei paesi dell’area post-sovietica (l’Italia è al 13esimo posto).

In realtà, la storia della residenza estiva a Sochi di Putin non è uno scoop di Navalny perché già nel 2011 un giornalista russo, Lev Ivanov, aveva denunciato i costi della reggia presidenziale.

Ma allora i social non avevano la rilevanza che hanno oggi. Navalny prosegue con l’organizzazione di cortei, quasi a replicare il modello bielorusso, e sta diventando il simbolo della volontà di innovazione e modernizzazione del paese.

Ma se il suo obiettivo è quello di smitizzare il “nonno del bunker”, così chiama Putin, sarebbe un errore mitizzare anche il suo operato. È vero che Navalny è il principale oppositore della gestione putiniana del potere, ma non di tutta la sua politica interna ed estera. E difficilmente Navalny potrà raggiungere il suo scopo senza il sostegno di qualche fazione del Cremlino.

In ambito internazionale il “caso Navalny” ha generato dure reazioni e minacce di ulteriori sanzioni dall’Ue, incrementando la distanza tra la Russia e l’occidente a cui si aggiungono le questioni bielorussa e ucraina e il rapporto con la nuova presidenza di Joe Biden. Il Cremlino, per ora, tace.

 

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