Sulla chat di Signal in cui i vertici della sicurezza nazionale americana hanno condiviso informazioni militari riservate e altamente sensibili su un attacco agli Houthi, includendo per errore un giornalista, l’amministrazione Trump è riuscita ieri a peggiorare la propria già fragile posizione.

Martedì tutto il governo, da Donald Trump al consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, fino ai capi dell’intelligence in audizione alla commissione del Senato, hanno dichiarato che i messaggi non contenevano informazioni classificate. Il segretario della Difesa, Pete Hegseth, ha detto che il messaggi non contenevano «piani di guerra», e ha inaugurato il carosello degli insulti a Jeffrey Goldberg, il direttore dell’Atlantic, che è stato definito da vari membri dell’amministrazione «Trump-hater», «ingannatore e screditato», «essenzialmente cattivo per il paese» e molte altre cose.

Dilettantismo totale

Goldberg si è trovato nella curiosa posizione di avere fra le mani uno scoop frutto soltanto del dilettantismo di chi guida la sicurezza del più potente apparato militare della storia umana, e lo ha pubblicato, omettendo tuttavia i dettagli operativi dell’attacco agli Houthi – che il segretario della Difesa ha messo in chat ore prima dell’attacco – e il nome di un agente della Cia, nel timore che stesse agendo sotto copertura.

Ma il governo, come si diceva, ha detto che nulla di tutto questo era coperto da segreto. E non avrebbero potuto fare altrimenti, se il presidente voleva evitare di dover tagliare qualche testa, cosa che Trump ha immediatamente escluso di voler fare.

Ammettere di avere diffuso informazioni secretate attraverso un canale non sicuro, avrebbe dovuto necessariamente produrre qualche conseguenza. La linea del governo – non c’erano informazioni secretato nella chat – ha però di fatto dato il via libera a Goldberg di pubblicare l’intero scambio, compresi i passaggi che aveva omesso inizialmente, perché ognuno potesse farsi un’idea. Erano «piani di guerra» quelli discussi dai vertici della sicurezza nazionale? Erano informazioni che potrebbero (o avrebbero dovuto) essere coperte da segreto nel momento in cui sono state condivise su Signal?

Insomma, Goldberg è andato a vedere il bluff dell’amministrazione e ha pubblicato tutto il materiale, ormai di fatto approvato dall’amministrazione stessa come non secretato. Nella chat Hegseth (del quale i democratici hanno chiesto a gran voce le dimissioni) ha scritto tutto il piano di attacco: orari, obiettivi, armi usate, personale militare coinvolto. Mancavano soltanto le coordinate Gps.

Allertata prima della decisione di pubblicare, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha ammesso ripetuto che le informazioni non sono secretate, e tuttavia il governo «è contrario alla loro rivelazione» perché in quella chat «sono state discusse informazioni sensibili».

In che modo queste informazioni siano sensibili ma non classificate non è dato sapere – anche perché la qualità dei dettagli forniti supera ampiamente lo standard di classificazione descritto nelle linee guida sia del Pentagono che dell’intelligence – ma è chiaro che la Casa Bianca ha inaugurato la fase delle perifrasi nordcoreane per giustificare l’ingiustificabile. Non può dire che le informazioni erano segrete, ma non può nemmeno dire che non andrebbero pubblicate.

Così si affida ai post su X di Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale e amministratore della chat, che assicura: «Nessuna location. Nessuna fonte né metodo. Nessun piano di guerra». Tutto il contrario di quel che hanno detto fonti del Pentagono alla Cnn, ossia che si è assolutamente trattato di informazioni «altamente classificate».

Non è stato facile per il direttore della Cia, John Ratcliffe, e per la direttrice dell’intelligence, Tulsi Gabbard, sostenere queste posizioni contraddittorie nell’audizione con i membri della commissione intelligence della Camera, che alla luce delle nuove rivelazioni è stata molto più dura di quella al Senato, almeno per quel che riguarda i membri del Partito democratico, che ora chiede a gran voce le dimissioni di Hegseth e Waltz. I repubblicani hanno semplicemente parlato d’altro.

Cambio in Groenlandia

La turbolenza sulla sicurezza nazionale ha indotto la Casa Bianca anche a riperimetrare la missione in Groenlandia che inizia venerdì, manovra accolta malissimo dalle autorità della regione semiautonoma e definita una dimostrazione di «pressione inaccettabile» dalla prima ministra della Danimarca, Mette Frederiksen.

Trump, come sempre di fronte a un diniego, ha forzato la mano, ribadendo in un’intervista che rivuole il territorio: dobbiamo far sapere loro «che abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza internazionale. Ne abbiamo bisogno. Dobbiamo averla».

Sembrava andare in questo senso l’aggiunta al viaggio del vicepresidente, J.D. Vance, che accompagnerà la moglie Usha, che originariamente era la protagonista del viaggio. Vance non voleva che «si tenesse tutto il divertimento per sé», ha detto, ma in realtà fra le righe del cambiamento di formato si legge anche un ripensamento della missione, che ora appare più limitata.

Usha Vance avrebbe dovuto assistere alla tradizionale corsa delle slitte e visitare diverse parti dell’isola, mentre dopo l’ingresso del marito nella vicenda ora le agende parlano soltanto di una visita alla Pituffik Space Base, una base militare americana nella parte occidentale della Groenlandia. Prima era una visita per «celebrare la cultura e l’unità della Groenlandia», ora è un controllo di routine «ai nostri guardiani dello spazio», con qualche vago riferimento alla questione della sicurezza.

La portata della missione diminuisce, mentre le pretese del presidente aumentano. Non è la posizione ideale per un presidente che nella chat di Signal ha mostrato di avere altre idee rispetto a quelle del capo.

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