In Turchia l’omosessualità non è considerata un crimine, ma nella società che Recep Tayyip Erdogan ha costruito negli ultimi vent’anni non c’è posto per chi non rientra nei canoni della famiglia tradizionale. Soprattutto nel mese di giugno.

In questo periodo dell’anno la comunità Lgbt turca organizza manifestazioni, eventi e parate nelle varie città del paese, o almeno ci prova. Dal 2015 infatti è sempre più difficile scendere in strada, soprattutto a Istanbul, o anche solo riunirsi in un parco o in un qualsiasi luogo pubblico senza rischiare un intervento repressivo da parte delle forze dell’ordine.

Nelle ultime settimane gli studenti di diverse università di Izmir e Ankara hanno già dovuto fare i conti con la polizia dopo aver organizzato pic-nic e parate nelle rispettive città e alcuni di loro sono stati anche fermati per diverse ore. Ma quelli di Izmir e Ankara solo soli i primi di una lunga serie di attacchi da parte della polizia contro i gruppi Lgbt. La pressione contro questa comunità è in continuo aumento in Turchia da quando Erdogan è al potere e la sua rielezione getta un’ombra sul futuro delle persone Lgbt e sul rispetto dei loro diritti.

Il presidente ha incentrato buona parte della sua campagna elettorale contro la comunità gay, accusando i suoi avversari e il loro leader, Kemal Kilicdaroglu, di comportamenti “devianti” e presentando la vittoria dell’opposizione come una minaccia ai valori della famiglia tradizionale e dell’islam. Entrambi pilastri della nazione che Erdogan sta costruendo da quando è salito al potere per la prima volta nel 2002 anche a costo di aumentare le divisioni interne alla società, come certificato dal risultato delle stesse elezioni presidenziali.

Un nuovo nemico

Le persone Lgbt, dunque, sono diventate il nemico da sconfiggere in sede elettorale, ma i discorsi omo e trans-fobici di Erdogan e di altri esponenti politici a lui vicini stanno avendo da tempo ripercussioni sulla società e sulla pacifica convivenza tra i cittadini turchi.

Emblematico a questo proposito è lo scandalo scoppiato di recente per l’aggiunta di un bagno unisex nel ristorante di un centro commerciale di Sisli, a Istanbul. I proprietari sono stati costretti a scusarsi pubblicamente e a togliere l’adesivo rappresentante entrambi i sessi e accompagnato da un arcobaleno dalla porta del bagno dopo le minacce ricevute via social e amplificate da alcuni account pro-governativi e anti-Lgbt.

«Ormai hanno represso ogni possibile forma di opposizione, per questo hanno iniziato ad attaccarci. Siamo un target facile e accanirsi contro di noi ha aiutato Erdogan a consolidare il sostegno del suo elettorato», spiega Ogulcan Yediveren, attivista di Spod, una delle poche organizzazioni Lgbt che ancora resiste a Istanbul.

«L’anno scorso, in occasione del Pride, hanno arrestato più di 400 persone. Di solito non ne fermano più di cento, ma eravamo già in periodo elettorale», aggiunge Yediveren. Le restrizioni alle manifestazioni e alle celebrazioni del Pride però vanno avanti ormai da tempo. Da diversi anni gli attivisti vengono confinati nelle strade laterali del centro di Istanbul e tentare di accedere a Istiklal, la famosa via dello shopping, vuol dire scontrarsi con le forze dell’ordine ed essere rimandati indietro con la forza. Una situazione simile a quella vissuta anche nelle altre città turche dai vari comitati Lgbt, i cui spazi di manovra sono sempre più limitati mentre gli arresti diventano un fenomeno sempre più frequente.

La famiglia

Ma l’accanimento di Erdogan e dei partiti conservatori contro la comunità Lgbt non è dettato solo da logiche politiche ed elettorali. Il presidente vuole rafforzare il ruolo della Turchia nello scacchiere internazionale e trasformare il paese in una media potenza anche sul piano economico.

Per riuscire nel suo intento, Erdogan sta da tempo puntando anche sulla natalità, promuovendo misure a sostegno delle famiglie tradizionali e invitando le donne ad avere almeno tre figli.

In una simile visione della società, ogni comportamento che non porta alla procreazione è dunque bollato come dannoso e come una minaccia alla crescita della Turchia. «Il nostro modo di vivere è stato più volte descritto come illegittimo e deviante. Ti dicono che devi lavorare, obbedire e procreare, ma noi siamo contro questo modello di vita», spiega Yediveren, mentre sorseggia il suo caffè da una tazza bianca decorata con un disegno arcobaleno.

Opporsi ai dettami del presidente, però, sarà ancora più difficile dopo la sua rielezione e a pagarne le conseguenze saranno soprattutto i trans. «Diciamo che sei omosessuale puoi nascondere la tua identità in alcuni contesti, anche se questo comporta un alto livello di stress emotivo e può avere un impatto negativo sulla tua vita affettiva e lavorativa.

Ma per i trans è un’altra storia: sono facilmente identificabili e già da tempo sono fortemente discriminati, anche nelle grandi città». Per una persona trans infatti è particolarmente difficile trovare un appartamento in affitto e ancora di più un’occupazione, per cui in molti casi l’unica soluzione è diventare sex workers, mantenendo il più possibile un basso profilo.

Ma la rielezione di Erdogan e l’accanimento dei suoi sostenitori contro tutto ciò che è percepito come un pericolo per la famiglia tradizionale rappresentano una minaccia per l’intera comunità Lgbt, che ha già visto i suoi diritti ripetutamente calpestati e limitati. Per il momento la vita continua come sempre, soprattutto nella cosmopolita Istanbul, ma c’è chi guarda con apprensione al futuro.

«Ho sempre espresso liberamente il mio orientamento sessuale e voglio continuare a farlo», spiega Murat dopo aver ordinato da bere in un bar di Beyoglu. La sua birra questa volta ha un sapore un po’ più amaro del solito. «Mi piace vivere in Turchia, ma se non mi permetteranno più di essere me stesso ho intenzione di andare via. Non posso restare in un paese in cui dicono che non ho diritto a esistere».

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