Durante il rigido inverno del 2019, il deputato Brendan Boyle arrancava tra le nevi dell’Iowa e del New Hampshire, facendo campagna elettorale per Joe Biden, il candidato alla presidenza la cui campagna non si decideva a decollare. Una volta tornato a Washington, Boyle ha ricevuto un’accoglienza altrettanto fredda, questa volta da parte di un collega democratico. «Mi preoccupa quello che stai facendo», lo ha avvertito un membro del Congresso conosciuto per le sue posizioni più progressiste. «Sono preoccupato che tu ti stia cacciando nei guai». In altre parole, Boyle non doveva legarsi troppo a Biden per non rischiare di trovarsi in difficoltà durante le primarie, contro un avversario posizionato più a sinistra. Un anno dopo, le cose sembrano molto diverse.

E sembra così diversa anche la sorte di Boyle.

Il potere politico può cambiare natura molto in fretta a Washington. Da novembre si è spostato verso il centro, offrendo una nuova opportunità a chi ha goduto di molta poca attenzione negli anni di Trump. Allora l’immagine pubblica dei democratici è stata spesso associata (allo stesso modo, sia dai nemici sia dagli amici) alla figura di Alexandria Ocasio-Cortez e della squad, il soprannome di quattro delle giovani rappresentanti più progressiste del Congresso.

Ora è invece la volta di un’altra fazione fra i rappresentanti democratici alla Camera: i moderati. Potremmo chiamarla la squad dei moderati: Sharice Davids, Abigail Spanberger, Lisa Blunt Rochester e Boyle. Sia per i loro rapporti stretti con il presidente, sia per la loro dedizione a una politica di compromesso, sono i parlamentari che sembrano avvantaggiati per contare davvero nella Washington di Biden.

Sharice Davids

(Sharice Davids. Foto AP)

Davids potrebbe essere la stella più luminosa del Congresso che ancora non avete notato. Ha quarant’anni e può pure non essere stata scelta per una posizione di gabinetto come Deb Haaland, l’altra nativa americana eletta al Congresso. Può anche non avere 12 milioni di follower su Twitter come Ocasio-Cortez. Ma, a meno di cinquanta giorni dall’inizio del primo mandato di Biden, la rappresentante del terzo distretto del Kansas già sedeva nello Studio Ovale per conferire con il nuovo presidente.

Nata in Germania da una madre single, sergente istruttore dell’esercito degli Stati Uniti, Davids è rientrata negli Stati Uniti per frequentare la scuola superiore a Leavenworth, in Kansas. Ha lavorato in un Sonic drive-In e in un hotel Marriott, tra gli altri lavori, per contribuire a mantenersi. Ha frequentato un community college e in seguito l’università statale per una laurea in giurisprudenza, prima di vincere una fellowship alla Casa Bianca durante la presidenza di Barack Obama. Davids è stata la prima nella sua famiglia a laurearsi, poi la prima donna nativa americana a sedere al Congresso (sono due in totale) e anche la prima gay dichiarata del Kansas a ricoprire una carica elettiva nazionale.

I modi discreti di Davids contrastano con il suo passato nelle arti marziali miste. Ha iniziato a gareggiare come dilettante nel 2006, vincendo cinque incontri su sei, di cui due a eliminazione diretta, poi ha combattuto ancora due volte come professionista. Quando non è stata selezionata per un reality televisivo della Ultimate fighting championship, l’organizzazione delle arti marziali miste degli Stati Uniti, Davids ha spostato la sua attenzione sul lavoro sociale e infine sulla politica. Eppure il suo background nelle arti marziali tocca ancora ogni aspetto della sua vita, dice, dalla disciplina necessaria per dirigere un ufficio del Congresso alla sicurezza in sé stessi per tenere un discorso importante.

«In sostanza ha dovuto lottare e combattere fino a ottenere un seggio al Congresso», ha detto Marlon WhiteEagle, presidente del Ho-Chunk Nation, di cui Davids è membro.

Per assicurarsi il suo primo mandato, Davids ha vinto le primarie democratiche tra sei candidati, tra cui uno del gruppo di Sanders appoggiato da Ocasio-Cortez. Ha prevalso di poco, poi ha superato due repubblicani in un distretto contendibile. Questi risultati l’hanno resa una delle più apprezzate tra i leader del partito.

I leader del partito approvano anche il suo stile calmo e le hanno dato due promozioni già nel suo secondo mandato: la vicepresidenza sia della nuova coalizione democratica centrista, sia dell’influente comitato dei trasporti e delle infrastrutture. È stata quest’ultima posizione che l’ha portata a incontrare Biden alla Casa Bianca il 4 marzo. Avrà un ruolo chiave nel progettare e promuovere una delle massime priorità di Biden di quest’anno, un ampio disegno di legge sugli investimenti nelle infrastrutture.

Il rappresentante Emanuel Cleaver, un democratico che rappresenta un distretto di Kansas City dall’altra parte del fiume Missouri rispetto a Davids, ha detto che lei è nota per leggere ogni parola di ogni disegno di legge che viene presentato per un voto. «Non è il tipo che torna a casa e convoca una conferenza stampa per fare grandi dichiarazioni, con cose forti che le daranno un’ampia copertura», ha spiegato. «Ma mi dispiacerebbe se qualcuno avesse l’impressione che sia in qualche modo un’ingenua, solo perché non è in cerca di pubblicità. Sarebbe davvero un errore».

Per Davids, fare gioco di squadra non significa necessariamente votare quello che la leadership preferisce o seguire i dettami dell’ortodossia del partito. Ha mostrato di non amare i disegni di legge che non hanno una strada concreta per il successo e recentemente si è rifiutata di votare per le prime bozze di progetti di legge in caso di pandemia che riteneva troppo faziose. Ha anche rifiutato l’appoggio al Green New Deal ma, in quanto autoproclamato “nerd delle infrastrutture”, affronta sia la crisi climatica sia la creazione di posti di lavoro nel disegno di legge sulle infrastrutture in modo che possa essere approvato in entrambe le camere del Congresso.

«Non mettiamo la politica davanti a ciò che è bene per il nostro paese» ha dichiarato Davids in una recente conferenza stampa su Zoom. «Concentriamoci sulla ricerca di soluzioni innovative e sul portare a termine le cose».

Abigail Spanberger

La mattina del 6 gennaio la maggior parte di Washington non sapeva della minaccia che stava per presentarsi fuori dalle mura del Campidoglio. Spanberger invece lo sapeva. L’ex agente sotto copertura della Cia aveva trascorso del tempo all’estero lavorando a operazioni segrete di antiterrorismo; ha capito che stava per succedere qualcosa.

Quella mattina ha detto agli altri deputati di vestirsi in modo informale e ha dato ordine al suo staff di restare a casa. Mentre la folla faceva breccia nella Camera, ha consigliato ai membri del Congresso di togliersi le spille che li identificano come parlamentari e si è ritirata con i suoi colleghi dalla balconata della camera in una stanza sicura.

Questo era il tipo di situazione per cui era stata addestrata alla Cia, anche se aveva sempre immaginato che un evento potesse accedere soltanto in un altro paese. «Non era un tipo di esperienza o una formazione che pensavo avrei applicato al mio lavoro al Campidoglio degli Stati Uniti», ha detto in un’intervista.

Pungente e cauta, la quarantunenne Spanberger ammette di poter essere impaziente di fronte alle inefficienze della politica di partito: le pose, le lungaggini, i messaggi cifrati. Fortunatamente per lei è entrata al Congresso nel 2019 con altri legislatori come Chrissy Houlahan, Elaine Luria, Mikie Sherrill, Elissa Slotkin, che la pensano allo stesso modo e che condividono lo stesso background di sicurezza nazionale e un disprezzo per i trucchetti. Questa cerchia è ora molto affiatata, si scambiano messaggi di continuo e hanno scelto uffici tra loro vicini nel complesso del Campidoglio.

«Quando l’ennesima riunione inizia in ritardo so chi condividerà la mia stessa frustrazione», ha scherzato Spanberger. «Sto cercando di abituarmi anche alle maniere del Congresso, per esempio quando devi essere estremamente gentile e dire grazie alle 20 persone che hanno parlato prima di te...».

Spanberger ha esercitato la sua scarsa pazienza per le cose frivole in maniera influente nel suo breve periodo al Congresso. Il primo impeachment del presidente Donald Trump non sarebbe probabilmente andato avanti se lei e la sua cerchia non avessero scritto una lettera aperta in cui definivano «un affronto al loro servizio nazionale» l’uso della presidenza per fare sponda con un leader straniero, in cambio di un guadagno politico.

Ha anche esortato i Democratici più a sinistra affinché smettessero con gli slogan controproducenti come “Togliere i fondi alla polizia”, che a suo avviso hanno contribuito alle sconfitte elettorali del Congresso. Un’osservazione che ha ripetuto in un’appassionata conference call post-elettorale in cui ha rimproverato i progressisti.

Ryan Clancy, capo della strategia di No Labels, un gruppo che sostiene la governance centrista, non era sorpreso dal fatto che Spanberger abbia parlato in quell’occasione. Quelli del gruppo parlamentare progressista, ha detto, sono spesso considerati «gli impetuosi che sanno come attirare l’attenzione; sono gli appassionati che combattono. Le persone che stanno al centro, invece, sono considerate troppo “molli”», ha detto Clancy. «Lei non è affatto così. Se crede fortemente in una cosa, combatterà per ottenerla».

Gli sforzi di Spanberger per spingere il suo partito verso il centro l’hanno portata ad avere il ruolo di vicepresidente del Problem solvers caucus, un gruppo bipartisan di legislatori moderati, tra i quali ci sono molti senatori che hanno espresso voti decisivi su alcune leggi critiche. La divisione a metà fra Repubblicani e Democratici al Senato comporta che sia difficile arrivare a un’approvazione delle leggi, se non sono sufficientemente condivise. Pertanto i leader democratici dovranno lavorare al centro, rendendo particolarmente significativo il Problem solvers caucus.

«La discussione sul “come possiamo arrivare al sì?” non è una cosa che piace a tutti i legislatori», ha ammesso Spanberger. «Questo sarà il ruolo dell’organizzazione: quando altre persone vogliono allontanarsi dal tavolo, troverà i modi per riportarli indietro».

Lisa Blunt Rochester

Blunt Rochester era a pochi passi da Spanberger sulla balconata della Camera durante l’attacco al Campidoglio. Dopo l’evacuazione si sentiva sollevata, ma si è poi trovata nuovamente in pericolo, questa volta a causa dei parlamentari repubblicani che si rifiutavano di indossare le mascherine, mentre erano asserragliati in una stanza protetta.

Blunt Rochester non li ha insultati. Non ha fatto tweet a riguardo. Si è avvicinata con alcune mascherine di riserva e con calma ha suggerito loro di usarle. Quella scena è stata filmata e il video è poi diventato virale. Per le persone che la conoscono meglio, in quel momento Lisa stava semplicemente facendo Lisa, proponendosi anche agli avversari politici con una mano tesa, non con un pugno chiuso.

Prima donna e prima afroamericana a rappresentare il Delaware al Congresso, la cinquantanovenne usa le sue profonde connessioni nelle stanze del potere per difendere coloro che non hanno connessioni simili. È cresciuta nel Ninth Ward di Wilmington, un rione a maggioranza nera, e ha fatto dei diritti civili il centro della sua carriera, indagando sulla polizia per discriminazione razziale e sessuale mentre era al governo dello stato e guidando un’influente organizzazione per i diritti civili. Con lo slogan della sua campagna “Quando Lisa va a Washington, tutti andiamo a Washington”, ha conquistato un’ampia coalizione di sostenitori nello stato, dagli imprenditori agli attivisti.

I Blunt Rochester da tempo fanno parte della cerchia ristretta di Biden. Il padre è vicino al presidente; la sorella lavorava per lui. La stessa Lisa faceva parte del comitato per la selezione del vicepresidente di Biden e ha co-presieduto il suo comitato di inaugurazione.

Dopo l’omicidio di George Floyd, Blunt Rochester ricorda di aver telefonato al vecchio amico di famiglia, lamentandosi dei discorsi al vetriolo di Trump e della mancanza di leadership durante i disordini. «Beh», le ha risposto Biden, «saliamo in macchina, andiamo in città a parlare con la gente».

Ora che Biden è presidente, Blunt Rochester cercherà di essere quella voce coscienziosa al suo orecchio ogni volta che sarà possibile. «Il mio secondo nome è Blunt (“senza peli sulla lingua”)», ha detto in un’intervista. «Lui sa che io gli parlerò in modo onesto e veritiero delle cose per come le vedo».

È anche determinata a lavorare con i repubblicani. Blunt Rochester ha guidato un’iniziativa di impegno bipartisan tra i neo eletti della sua tornata, ha recentemente sponsorizzato un disegno di legge sul pagamento diretto con un repubblicano della West Virginia e ha co-fondato un intergruppo parlamentare chiamato Future of Work.

«Desiderare un’economia forte e credere nella giustizia non sono due concetti che si escludono a vicenda», ha detto.

Brendan Boyle

(Brendan Boyle. Foto AP)

L’anno prima di fare campagna per Biden nella neve, Boyle ha intrapreso un altro viaggio importante, questa volta nella sua città, Philadelphia, per incontrare Biden. Nel novembre del 2018 era opinione diffusa che soltanto un progressista, come Bernie Sanders o Elizabeth Warren, avrebbero potuto costruire una coalizione di centrosinistra per sconfiggere Trump. Ma Boyle non ci credeva.

«Se non ti fossi candidato e Trump fosse stato rieletto», ha ricordato Boyle parlando con Biden, «non mi sarei mai perdonato di non essere venuto qui a dirti queste cose».

È stata una scommessa che ha mostrato un astuto istinto politico: ora è dentro con un presidente in carica. Biden ha assunto il primo assistente di Boyle per una posizione elevata nell’amministrazione e sono in tanti a pensare che anche lui potrebbe essere arruolato un giorno.

Il quarantaquattrenne con la faccia da bambino è un cattolico irlandese, cresciuto tra la case a schiera di mattoni della classe media, nei sobborghi di Philadelphia. Figlio di un immigrato irlandese – il padre lavorava come custode e la madre faceva la sorvegliante per l’attraversamento pedonale davanti a una scuola – Boyle è stato il primo della sua famiglia ad andare al college.

È anche cresciuto in un luogo a lui avverso politicamente. Boyle è stato il primo democratico a rappresentare la sua area nel Congresso locale. Anche se il suo quartiere ha votato in maggioranza per Trump, il suo distretto congressuale è saldamente democratico. La sua connessione con il territorio l’ha aiutato a vincere da sfavorito nelle primarie del 2014 contro la suocera di Chelsea Clinton, l’ex deputata Marjorie Margolies, nonostante lei avesse i finanziamenti e l’endorsement di Bill e Hillary Clinton.

Boyle non è soltanto un sostenitore di Biden. È anche un legislatore a sua immagine e somiglianza, con una preferenza per il compromesso. E potrebbe avere il giusto mix di audacia e strategia per avere successo. «Penso che ci sia bisogno di persone nel nostro gruppo che facciano da ponte», ha detto Boyle. «Sarebbe un disastro per i democratici essere isolati alla Camera».

Boyle ha coniugato il suo populismo economico con le preferenze politiche dei democratici di vecchia scuola su politica estera e difesa, in una fase in cui protezionismo e isolazionismo sono diventate tendenze dominanti in entrambi i partiti. Unico deputato figlio di un genitore irlandese, ha sostenuto l’immigrazione irlandese e la cittadinanza per i migranti irlandesi senza documenti, mentre il partito lottava per una più ampia riforma che aprisse una strada alla cittadinanza. È particolarmente attento a mitigare gli effetti negativi della Brexit chiedendo al governo britannico di proteggere gli accordi del Good Friday che hanno pacificato l’Irlanda del nord. Boyle ha anche lavorato con il deputato repubblicano Adam Kinzinger per mantenere la presenza americana in Siria.

«Avere un padre e i nonni materni che sono nati altrove ti rende naturalmente più attento al resto del mondo», ha detto.

La posizione politica di Boyle galleggia a metà fra il Progressive Caucus e la centrista New Democrat Coalition: entrambi i gruppi lo considerano un loro membro. Fra i primi disegni di legge che ha introdotto quest’anno c’è una tassa patrimoniale per chi ha un patrimonio di più di 50 milioni di dollari, firmato anche da Elizabeth Warren, che ne ha fatto il perno della sua campagna presidenziale, e da Pramila Jayapal, una leader progressista che Boyle considera una delle sue migliori amiche.

Eppure il suo sostegno per politiche di questo tipo non ha solo a che fare con la ricucitura fra le correnti democratiche, o con l’esigenza di tenere buoni i progressisti nel suo distretto. Come co-fondatore del gruppo dei Blue Collar, Boyle intende rinsaldare i rapporti fra i democratici e gli elettori della working class, recuperando un legame che si è ormai sfaldato da tempo.

Una patrimoniale può sembrare una trovata populista, ma Boyle la vede come una politica a favore dei lavoratori. Per aumentare così il gettito fiscale dopo le spese massicce per la pandemia, mantenendo la promessa di Biden di non alzare le tasse per al middle class. Inoltre, proporre politiche riformiste dal lato dei colletti blu potrebbe far recuperare alcuni elettori che hanno storicamente votato per i democratici, ma sono poi scivolati verso i repubblicani, alienati dalle politiche della sinistra.

«Capisco perfettamente dove si posiziona oggi il nostro partito fra gli elettori della classe operaia bianca», ha detto. «Ci aiuterebbe davvero a combattere l’idea che siamo irraggiungibili ed elitari».

La squadra dei moderati

I democratici moderati non hanno un ruolo così importante nell’influenzare l’agenda del partito dal primo mandato di Barack Obama. Ora, in una Washington guidata da un democratico dedito al compromesso – con il partito repubblicano diviso e disorientato dopo che l’attacco a Capitol Hill ha messo ai margini il suo leader – i moderati non saranno soltanto influenti. Saranno fondamentali per far funzionare la gli ingranaggi della politica. Alcuni moderati come Davids lavoreranno dietro le quinte per vergare leggi centriste e votabili. Altri come Spanberger lotteranno per tenere il messaggio dei democratici lontano dalle iperboli e nel frattempo favoriranno l’ingresso di alcuni repubblicani nel processo legislativo.

Rappresentanti come Blunt Rochester e Boyle useranno le loro connessioni con il presidente per mettere in atto una politica che possa essere affine a tutti i segmenti della coalizione democratica. Quelli della squad dei moderati non andranno per forza in giro insieme e non faranno servizi fotografici. Potrebbero non apparire nemmeno fianco a fianco ai comizi. Ma insieme rappresentano elementi del mondo democratico che di sicuro avranno una enorme influenza negli anni a venire. «Nonostante il centro sia sempre più assottigliato nella politica americana, per fortuna in entrambe le camere ci sono membri che hanno incentivi reali per rompere gli schemi e tentare un compromesso», ha detto Ryan Nickel, un ex membro dello staff del Congresso che adesso lavora come stratega democratico in un’azienda privata. «In un ecosistema mediatico in cui Trump non può più togliere tutto l’ossigeno dalla stanza via Twitter», ha aggiunto, «sarà più facile per questi deputati farsi sentire».

Questo articolo è stato pubblicato sulla testata online Persuasion

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