Lo scorso 26 aprile il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, ha rinviato al parlamento una delle leggi più omofobe al mondo, chiedendone un’attenuazione. È stata una mossa a sorpresa, perché le norme erano state varate su sua stessa indicazione.

Nella lettera inviata all’assemblea nazionale, il presidente ugandese chiedeva di operare una distinzione tra coloro che praticano uno stile di vita con orientamenti sessuali diversi e chi commette effettivamente atti non eterosessuali. I primi dovrebbero essere decriminalizzati. In sostanza, per Museveni l’essere gay o di altri orientamenti non sarebbe reato in sé. Lo diventerebbe dal momento in cui si arrivasse ad avere rapporti con altri individui.

Il passo indietro

La scelta di Musuveni è stata davvero inaspettata, dato che la legge anti omosessualità del 2023 era stata approvata dal parlamento, su sua benedizione, appena un mese prima. Era già una versione riveduta, e addirittura più severa, di quella del 2014 che prevedeva pene fino all’ergastolo per chi veniva sorpreso a praticare sesso non etero. Dietro al passo indietro ci sarebbero ora le tante pressioni della comunità internazionale.

In particolare, sembra che il presidente sia stato particolarmente sensibile alle fortissime critiche piovutegli sul tavolo alla fine di marzo da parte di Google, Microsoft, Price Waterhouse e altri colossi economici. Utilizzando la piattaforma Open for Business Coalition, che raccoglie una serie di aziende leader a livello mondiale attive contro l’esclusione Lgbt nel mondo, hanno fatto sentire in modo chiaro la propria voce e fatto intendere che senza diritti non ci sarebbero stati investimenti.

La mossa potrebbe certamente non apparire rivoluzionaria. Resta infatti la criminalizzazione di chi abbia orientamenti diversi dall’eterosessualità: se ne colpisce l’azione e così la libertà di essere pienamente sé stesso. Eppure, con un minimo di contestualizzazione, la novità potrebbe invece avere un impatto notevole per il paese e per il continente intero.

L’omofobia di un continente

L’Africa è infatti, di gran lunga, il continente più omolesbobitransfobico del pianeta. Con l’eccezione del Sudafrica e di Capo Verde, dove i diritti Lgbt sono garantiti, negli altri 53 paesi restano limitati. Con accezioni che vanno dalla legalità senza riconoscimento di status (un blocco dell’Africa centrale tra cui i due Congo, Centrafrica, Gabon ecc., o occidentale tra cui Mali, Burkina Faso, Niger, Costa d’Avorio ecc.), alla condanna al carcere ma senza applicazione (Sud Sudan, Namibia), al carcere effettivo (tutto il Nord Africa, l’Etiopia, l’Eritrea, la Nigeria e vari altri) fino alla pena di morte non applicata (Mauritania e vari stati della Nigeria), arrivando addirittura alla pena capitale effettiva nello stato nigeriano di Bauchi o nelle zone sotto il controllo di al Shabab in Somalia.

Nessuno si fa dunque particolari illusioni. Il panorama resta desolante, specie se si considera che le pressioni e il ripensamento di Museveni hanno sì condotto, lo scorso 2 maggio, a un cambio della proposta di legge anti Lgbt, ma sempre con l’illegalità degli atteggiamenti ritenuti «contro l’ordine della natura». Nel caso di «omosessualità aggravata» (rapporti con un minore e persone vulnerabili, o quando l’autore è infetto da Hiv) dall’ergastolo si passa alla pena di morte.

Ma, finora, l’Uganda è stato considerato tra i più convinti assertori della punibilità di orientamenti diversi dall’eterosessualità e si è distinto per decenni per aver senza il minimo imbarazzo proposto leggi ampiamente liberticide. È dunque interessante che abbia deciso di interrompere il processo vizioso e invertire, anche se di poco, la tendenza.

Nelle mani di Museveni

Fino a 15 anni fa l’Uganda era invischiata in una terribile guerra civile che ha fatto migliaia di morti, tantissimi feriti, rapiti, torturati o violentati, e ha visto esplodere al suo interno il fenomeno dei bambini soldato. Ma ora, tra mille contraddizioni – prima fra tutti i metodi para-dittatoriali del suo presidente in carica incontrastata da 37 anni – sta imboccando una via di stabilità e sviluppo che ne fa un hub di interesse geopolitico per tutta una grande area in enorme subbuglio: dalla Repubblica Democratica del Congo, al Centrafrica, passando per Sudan, Sud Sudan e Corno d’Africa. Non a caso, oltre 1,6 milioni di profughi in fuga da conflitti devastanti trovano accoglienza e dignità nei suoi confini, mentre, sul fronte degli investimenti, guadagna un sempre maggiore interesse da parte dei mercati internazionali.

La palla ora torna nel campo di Museveni. Riscritta la proposta di legge, sarà lui a vagliarla e a firmarla o a chiedere di modificarla ulteriormente. Le pressioni, nel frattempo, aumentano. Un gruppo di esperti delle Nazioni unite aveva descritto la versione precedente della legge come «una grave violazione dei diritti umani». Gli Stati Uniti hanno invece messo in guardia dalle conseguenze economiche di una sua eventuale approvazione.

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