Lo scontro tra la Casa Bianca e il governo Netanyahu si fa sempre più aspro e denso di conseguenze non ancora ben definite.

Il primo ministro israeliano ha ordinato, sfidando apertamente le richieste del segretario di Stato Antony Blinken, all’esercito israeliano di prepararsi all'evacuazione di Rafah in vista di un’invasione.

Il premier sta pensando a un’offensiva a Rafah, dove si sono concentrati circa 1,4 milioni di sfollati di Gaza su 2,2, milioni complessivi. Non è chiaro dove potrebbero andare queste centinaia di profughi che sono stati costretti a lasciare le loro case al nord, molte delle quali nel frattempo sono state distrutte dall’esercito israeliano.

L’Idf sarebbe stato incaricato di presentare all’esecutivo di unità nazionale piani sia per l'evacuazione della popolazione civile palestinese dal sud della Striscia di Gaza, sia per lo smantellamento dei battaglioni di Hamas nell'area di Rafah.

«Non è possibile raggiungere gli obiettivi della guerra per l'eliminazione di Hamas e al tempo stesso lasciare 4 suoi battaglioni a Rafah«, ha detto Netanyahu aggiungendo che «è chiaro che una operazione potente a Rafah obbliga allo sgombero dei civili dalle zone di combattimento».

Serve - ha spiegato - un «doppio piano»: uno per l'eliminazione dei battaglioni di Hamas, l'altro per l'evacuazione della popolazione civile.

Secondo le forze di difesa israeliane, Rafah costituirebbe l’ultima roccaforte rimasta di Hamas. Il premier Netanyahu ha quindi sottolineato la necessità di una «operazione di massa» che possa portare a termine la campagna contro il gruppo militante islamico.

La reazione americana

Il presidente Joe Biden ha inasprito le critiche a Israele, definendo, rispondendo a una domanda, la risposta a Gaza «esagerata». Il presidente americana durante la conferenza stampa alla Casa Bianca giovedì sera ha confermato ai giornalisti di star lavorando per ottenere una pausa prolungata dei combattimenti per permettere il rilascio degli ostaggi.

Biden ha mostrato una crescente insofferenza per la portata e la durata della guerra e ha affermato che la sofferenza di persone innocenti «deve finire».

Il dipartimento di Stato Usa ha definito l'operazione a Rafah un "disastro", spiegando di non conoscere questo piano. Anche il portavoce del consiglio di Sicurezza nazionale Usa, John Kirby, ha affermato nella serata di giovedì che gli Stati Uniti non sono disposti a sostenere un’offensiva a Rafah, perché sarebbe un «disastro».

La città nel sud della Striscia ospita al momento la gran parte degli sfollati palestinesi, fuggiti dagli incessanti bombardamenti nella vicina Khan Younis e nel nord di Gaza, intrappolati a Rafah in attesa della prossima offensiva israeliana.

La reazione egiziana

Fonti locali hanno rivelato che nuove forze di sicurezza egiziane sono arrivate al valico di Rafah con la Striscia di Gaza per proteggere ulteriormente il confine, dove, a solo un paio di chilometri, sono ammassati quasi due milioni di palestinesi spinti a sud dai bombardamenti israeliani, giunti ormai appena oltreconfine.

Le fonti hanno aggiunto che circa 40 veicoli della polizia e della sicurezza si sono spostati da Al Arish a Rafah per proteggere il confine, innalzare la recinzione che separa da Gaza e rinforzarla con filo spinato per impedire qualsiasi tentativo di sconfinamento.

Al Sisi non vuole assolutamente i profughi palestinesi nel Sinai perché metterebbero a rischio il già precario equilibrio del paese arabo. La presidenza egiziana si è detta d'accordo con le dichiarazioni di govedì del presidente Biden sulla risposta esagerata di Israele e ha rinnovato la richiesta del cessate il fuoco.

L'Egitto ha precisato che il valico di Rafah, tra Egitto e Gaza, è stato sempre aperto dal lato egiziano fin dall'inizio del conflitto, «e senza restrizioni», mentre «i ripetuti bombardamenti israeliani sul lato palestinese del valico, verificatisi quattro volte, stanno impedendo la consegna degli aiuti».

Il monito dell’Anp

L’ufficio del presidente palestinese Mahmoud Abbas ha dichiarato che il piano annunciato dal primo ministro Netanyahu per un’escalation militare a Rafah, all’estremità meridionale della Striscia di Gaza, mira a scacciare i palestinesi dalla loro terra.

L'ufficio di Abbas, capo dell'Autorità Palestinese che esercita un parziale autogoverno nella Cisgiordania occupata da Israele, ha affermato di ritenere sia il governo israeliano che l'amministrazione americana responsabili delle ripercussioni del piano.

La presidenza palestinese ha invitato il Consiglio di sicurezza dell'Onu a prestare attenzione, «perché (Israele) con questo passo minaccia la sicurezza e la pace nella regione e nel mondo. Supera tutte le linee rosse», si legge nella dichiarazione.

È evidente che la mossa del premier israeliano è destinata a creare nuove tensioni con i paesi arabi moderati e con gli Usa.

Cancellato incontro con Guterres

I rapporti di Tel Aviv con il segretario dell’Onu sono sempre più difficili. Il presidente della Knesset Amir Ohana ha cancellato l'incontro con il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres che si sarebbe dovuto svolgere ieri al palazzo di Vetro a New York.

Intanto l’Unicef ha invitato pubblicamente tutte le parti ad astenersi da un'escalation militare a Rafah, avvertendo che nella zona sono presenti più di 600.000 bambini.

Ma nel frattempo continuano le proteste israeliane per bloccare l’accesso degli aiuti umanitari nella Striscia. La situazione sembra che stia sfuggendo di mano ai tentativi di evitare l’escalation.

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