Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir hanno trovato un compromesso per rimandare il voto della Knesset sulla riforma della giustizia a maggio. Ben Gvir ritira le minacce di una possibile crisi di governo in caso di sospensione del voto e il presidente concede all’anima più radicale del governo di estrema destra la costituzione di una “guardia nazionale” controllata proprio dal ministero di Ben Gvir. 

La riforma della giustizia è approvata questa mattina in commissione Giustizia nonostante le proteste da record di questa notte e della prima mattinata di oggi. 

Netanyahu avrebbe dovuto parlare al pubblico alle 10 di oggi, ma il discorso è stato rimandato a causa della spaccatura nel governo provocata dall’annuncio del possibile ritiro del progetto di legge.

Ben Gvir e la crisi di governo

Ben Gvir, prima dell’accordo con Netanyahu, aveva detto che fermare l’approvazione della riforma da parte della Knesset equivarrebbe ad «arrendersi agli anarchici», minacciando di sciogliere la coalizione di governo.

Anche il ministro del Patrimonio culturale, Amichai Eliyahu, aveva detto che il primo ministro, ritirando la riforma, «cederebbe alla coercizione politica» dei manifestanti.

Di diverso avviso il presidente Isaac Herzog che ha esplicitamente chiesto a  Netanyahu di fare un passo indietro sulla riforma, per molti liberticida, «per l’unità del popolo d’Israele, per la responsabilità». 

Su questa stessa linea l’ormai ex ministro della difesa, Yoav Gallant, che, destituito da Netanyahu proprio per le sue posizioni contrarie alla riforma, ha detto che il momento di crisi interna al paese offre «ai nemici d’Israele» un’opportunità unica per «attaccare il paese», con particolare riferimento all’Iran. Pare, inoltre, che Gallant abbia rifiutato un’offerta di Netanyahu che prevedeva il suo reintegro nel governo a patto che abbandonasse il suo seggio alla Knesset al fine di favorire il subentro di un membro del partito favorevole alla riforma. 

Il capo del partito Israel Beitenu, partito di destra ma fuori dalla coalizione, ha chiesto, insieme al ritiro della riforma, le dimissioni di Netanyahu e del ministro della Giustizia Yariv Levin, autore della riforma. 

Da ultimo, proprio Levin ha detto che avrebbe rispettato la decisione del primo ministro sulla sospensione della riforma. Tuttavia, ha aggiunto che Netanyahu deve preservare la stabilità del governo e la sospensione del voto della Knesset potrebbe incentivare le divisioni. 

Gli scioperi e le proteste

Proprio dal primo ministro è arrivata la richiesta, via Twitter, ai manifestanti di astenersi da atti violenti, mentre la polizia ha arrestato due manifestanti che erano riusciti a introdursi nella Knesset contestando il ministro dell’Istruzione Yoav Kish. Davanti al parlamento israeliano, secondo la polizia, si sono radunate circa 115mila persone. La destra ha organizzato, invece, una manifestazione a favore della riforma. Secondo i media israeliani, gli organizzatori hanno garantito il servizio di numerose navette per trasferire a Gerusalemme i manifestanti filogovernativi da diverse zone del paese, soprattutto dagli insediamenti in territorio palestinese. 

Questa mattina sono iniziati gli scioperi annunciati dalla società civile israeliana. La prima protesta ad avere luogo è stata quella dei lavoratori aeroportuali, con il sindacato che ha sospeso le partenze dall’aeroporto di Ben Gurion, Tel Aviv. Lo ha annunciato Pinchas Idan, leader del sindacato di settore ed esponente del Likud, il partito di Netanyahu che sembra porsi in contrasto con le altre anime della coalizione, favorevoli al prosieguo dell’iter legislativo. 

Attuati anche gli scioperi del settore medico e delle autorità locali, oltre che di industrie e attività commerciali. Le banche hanno chiuso le filiali cittadine. Inusuale lo sciopero dichiarato dal personale diplomatico israeliano che ha sospeso le proprie attività consolari all’estero. 

Anche la yeshiva di Har Hamor ha espresso il proprio sostegno per i manifestanti e si stima che centinaia di studenti religiosi abbiano partecipato alle proteste.  

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