Il capo delle operazioni finanziarie di Huawei, Meng Wanzhou – arrestata in Canada il 1° dicembre 2018 – è stata liberata il 24 settembre scorso dopo 1.028 giorni di arresti domiciliari a Vancouver, in seguito a un accordo tra i governi di Pechino e Washington che, sotto l’amministrazione Trump, ne aveva chiesto l’estradizione accusandola di “truffa” e violazione delle sanzioni Usa all’Iran.

24/09/2021 Vancouver, Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei, lascia la Corte Suprema dopo aver raggiunto un accordo per la sua estradizione
  • Perché è importante

I media governativi hanno presentato il ritorno a casa di Meng come una vittoria della diplomazia di una «nazione potente», la dirigente di Huawei è stata accolta come un’eroina, il suo sbarco a Shenzhen trasmesso in diretta e seguito da cento milioni di telespettatori, mentre #MengWanzhou è rimasto un hot topic sui social media per due giorni.

Pechino aveva messo la liberazione di Meng in cima alla lista di condizioni per riprendere il dialogo consegnata l’estate scorsa all’inviata di Biden, Wendy Sherman.

Lunedì scorso South China Morning Post ha rivelato la recente visita segreta di sei settimane in Cina compiuta da John Thornton, ex presidente esecutivo di Goldman Sachs e co-presidente del China-US Financial Roundtable, che ha agito da inviato non ufficiale, in coordinamento con funzionari della Casa Bianca. Thornton è stato a Shanghai, a Pechino, dove a fine agosto ha incontrato il vice premier Han Zheng, e nel Xinjiang. La liberazione di Meng e la missione di Thorton – paragonata a quella che Henry Kissinger intraprese per conto dell’ex presidente Usa Richard Nixon nel 1971 – potrebbero preludere a un disgelo dei rapporti Usa-Cina.

  • Il contesto

La Casa Bianca sta provando a organizzare un faccia a faccia tra il presidente statunitense, Joe Biden e quello cinese, Xi Jinping. Da Pechino hanno fatto sapere che Xi non sarebbe disposto a un incontro prima della fine del 2021. Nel frattempo però potrebbero arrivare in Cina il segretario al Commercio, Gina Raimondo, per discussioni in vista del G20 di Roma (30-31 ottobre), e John Kerry, al quale – secondo Thornton – Biden (di cui East Asia Forum analizza qui la continuità della strategia asiatica) avrebbe delegato non soltanto la gestione del dossier climatico, ma anche di altri importanti aspetti delle relazioni bilaterali Usa-Cina.

Caro carbone e riduzione di emissioni: mezza Cina resta al buio

Venti delle trentuno province cinesi stanno subendo dallo scorso fine settimana drastiche riduzioni della fornitura di energia elettrica che – secondo fonti governative – potrebbero protrarsi fino alla metà dell’anno prossimo. I razionamenti sono causati dall’aumento del costo del carbone e dalle mosse del governo centrale per ridurre le emissioni di CO2. A essere colpite particolarmente sono le aree industrializzate del nordest, la provincia orientale del Jiangsu e quella meridionale del Guangdong. I blackout riguardano sia le attività produttive che le famiglie.

A man uses his smartphone flashlight to light up his bowl of noodles as he eats his breakfast at a restaurant during a blackout in Shenyang in northeastern China's Liaoning Province, Wednesday, Sept. 29, 2021. People ate breakfast by flashlight and shopkeepers used portable generators Wednesday as power cuts imposed to meet official conservation goals disrupted manufacturing and daily life. (AP Photo/Olivia Zhang)
  • Perché è importante

Secondo Goldman Sachs, è interessato il 44 per cento della produzione industriale del paese. In conseguenza dei razionamenti Nomura ha rivisto al ribasso (dall’8,2 al 7,7 per cento) le stime di crescita del Pil cinese per il 2021. A essere frenati sono soprattutto l’industria dell’alluminio, dell’acciaio, del cemento, dei fertilizzanti. Il prezzo del carbone (che alimenta le centrali elettriche per questi settori particolarmente energivori) è schizzato alle stelle anche a causa dell’embargo che Pechino ha imposto all’Australia, uno dei principali esportatori. (In questa scheda un riassunto delle cause dei razionamenti).

Per Pechino centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni rappresenta un obiettivo politico molto importante, anche per i riflessi positivi che avrebbe sulle relazioni con gli Stati Uniti.

  • Il contesto

La Cina è il principale emettitore globale di gas serra. Il 21 settembre scorso, il presidente cinese, Xi Jinping, si è impegnato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni unite a «non costruire più nuove centrali a carbone all’estero» e, in Cina, «a raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica prima del 2030 e la neutralità carbonica prima del 2060».

Tuttavia, secondo la Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (Ndrc), nel primo semestre del 2021 soltanto dieci province cinesi hanno raggiunto i loro obiettivi di riduzione di energia. Negli ultimi mesi – per il rallentamento della produzione nei paesi colpiti dalla pandemia – l’attività industriale e le esportazioni cinesi sono aumentate in modo abnorme, tanto che, nel primo trimestre del 2021, le emissioni hanno superato quelle dello stesso periodo nel 2019 (prima della pandemia), rendendo il razionamento l’unica possibilità per rallentare l’aumento di CO2.

Yuan di Lorenzo Riccardi

Softpower e patrimonio dell’umanità

La città di Fuzhou, nella provincia del Fujian, ha ospitato nel luglio scorso la quarantaquattresima sessione del Comitato del patrimonio mondiale, presieduta da Tian Xuejun, viceministro dell’Educazione e presidente della commissione della Repubblica popolare cinese per l’Unesco. Per l’occasione sono stati inseriti nell’elenco del Patrimonio mondiale diversi nuovi siti, tra cui l’antica città portuale di Quanzhou, situata proprio nel Fujian.

L’inclusione di Quanzhou – centro commerciale marittimo già tra il X e il XIV secolo durante le dinastie Song e Yuan, e visitata anche da Marco Polo durante il suo viaggio – evidenzia gli antichi legami tra commercio e cultura.

Quanzhou si aggiunge agli altri beni materiali cinesi iscritti nel patrimonio mondiale: 56 siti e 42 patrimoni immateriali riconosciuti dall’agenzia delle Nazioni Unite come “world heritage”.

La Cina si posiziona al primo posto tra tutte le nazioni per numero di patrimoni dell’umanità; l’Italia ha infatti un numero maggiore di beni materiali (58) ma inferiore di beni immateriali (14).

Tra quelli cinesi si annoverano non solo siti archeologici e resti di antiche città imperiali, ma anche luoghi che hanno avuto una particolare importanza economica, come il Gran canale imperiale, che permetteva il collegamento fluviale tra il Fiume giallo e il Fiume azzurro, e il segmento della via della Seta, di oltre 5mila km, denominato Corridoio di Tianshan, che da Chang’an, l’antica capitale delle dinastie Han e Tang, permetteva di raggiungere le lontane regioni dell’Asia Centrale e da qui, i mercati dell’Europa.

La promozione della sua cultura millenaria rappresenta uno dei fattori più efficaci del softpower cinese.

L’importanza data dalla Cina all’agenzia Unesco si affianca a molte altre azioni che mostrano l’attenzione che Pechino pone nella promozione della propria storia millenaria, attraverso crescenti investimenti, pubblici e privati, per la realizzazione di progetti culturali e nella costruzione di nuovi musei. Con il XIV Piano quinquennale, Pechino ha definito i piani di sviluppo del paese dei prossimi anni, finalizzati a creare una «nazione socialista prospera, armoniosa e culturalmente avanzata».

Xiaomi scommette sui veicoli intelligenti

Xiaomi produrrà presto veicoli intelligenti e connessi (Icv)? In questa direzione va l’investimento che il colosso pechinese dell’elettronica ha effettuato nella startup shanghaiese Black Sesame, specializzata nella progettazione di chip per l’intelligenza artificiale (Ai) per autoveicoli.

Secondo l’agenzia Reuters, Black sesame – valutata circa due miliardi di dollari – ha raccolto da Xiaomi «centinaia di milioni di dollari».

  • Perché è importante

Fondata cinque anni fa, Black Sesame fornisce sistemi avanzati di assistenza alla guida e soluzioni per la guida autonoma a clienti come Bosch, Saic Motors e BYD. Nel giugno scorso ha presentato un nuovo chip per la AI in grado di far raggiungere ai veicoli intelligenti il terzo livello di guida autonoma (i cinque livelli sono ben illustrati qui).

  • Il contesto

Negli ultimi mesi, Xiaomi ha annunciato una serie di importanti acquisizioni e investimenti in tecnologie chiave per la guida autonoma, come il riconoscimento degli ostacoli e la mappatura ad alta risoluzione.

Nell’agosto scorso, la compagnia pechinese aveva assunto il controllo di DeepMotion, sviluppatore pechinese di software per la guida assistita avanzata, al fine di velocizzare il suo ingresso nel mercato delle smart car. A giugno aveva investito in Hesai Technology, uno sviluppatore shanghaiese di sensori Lidar, e in Zongmu Technology Shanghai, che fornisce un sistema di parcheggio automatizzato alla compagnia automobilistica cinese FAW. Nello stesso tempo l’amministratore delegato, Lei Jun, ha annunciato l’assunzione di 500 professionisti affinché Xiaomi sviluppi una propria tecnologia per il quarto livello di guida autonoma.

In Cina attualmente circolano oltre cinque milioni di Icv, e le infrastrutture per le vendite di veicoli intelligenti sono in costante aumento. Secondo un piano della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (in cinese) e di altre agenzie governative, entro il 2025 la Cina avrà un’ampia rete stradale e di trasporti intelligenti in grado di sostenere la produzione di massa di veicoli autonomi di terzo livello.

I consigli di lettura per questa settimana:

China to reduce Abortion for ‘Non Medical Reasons’;

Taiwan’s Eric Chu wins KMT leadership race as party sticks with island-centric position;

Here’s 6 Documentaries on Modern China You Need to Watch.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco

@classcharacters

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