Una scena che negli ultimi mesi è diventata tragicamente famigliare. I paesi occidentali hanno iniziato le operazioni di evacuazione dal Niger. La più solerte è stata, ovviamente, la Francia, che ha già dovuto fronteggiare l’assalto all’ambasciata francese a Niamey e le accuse dei militari golpisti che hanno accusato Parigi di voler «intervenire militarmente» per rimettere in carica il presidente Mohamed Bazoum.

Anche la Germania ha invitato i cittadini tedeschi ad accettare «l’offerta» della Francia e a salire a bordo degli aerei in partenza dalla capitale.

Il governo italiano, ha invece comunicato via Twitter il ministro degli Esteri, Atonio Tajani, «ha deciso di offrire ai nostri concittadini presenti a Niamey la possibilità di lasciare la città con un volo speciale per l’Italia. L’ambasciata a Niamey resterà aperta e operativa, anche per contribuire agli sforzi di mediazione un corso».

Negli ultimi giorni c’era una certa preoccupazione per la sorte di un pilota e un motorista della ditta Heli World di Anagni bloccati in un hotel nella capitale nigerina. Al momento sarebbero una quarantina, su un totale di 91, gli italiani presenti nel paese che hanno chiesto di essere rimpatriati.

«La situazione è in continua evoluzione», ripete il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Mentre l’Unione europea, che al momento non ha in previsione di evacuare il proprio personale, fa sapere che il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, hanno contatti continui con Bazoum che, «per il momento è in buona salute».

Lo scacchiere africano

Sullo sfondo ci sono le reazioni dei paesi africani. L’Ecowas, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, ha dato un ultimatum di una settimana chiedendo il reintegro del presidente, imponendo sanzioni e minacciando un intervento militare.

«Siamo fermamente al fianco del Niger» ha twittato il presidente nigeriano Bola Tinubu, mentre il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby, ha voluto recarsi di persona a Niamey e incontrare i protagonisti del putsch.

Dopo un colloquio con il leader del colpo di stato, il generale Abdourahamane Tchiani, capo della guardia presidenziale del Niger, ha preteso di vedere il presidente e postato la prima immagine di Bazoum dopo il golpe.

Il capo di stato nigerino si è mostrato sorridente, seduto accanto a Déby su un sofà, presumibilmente all’interno del palazzo presidenziale. La foto, pubblicata sugli account ufficiali del presidente ciadiano, appare come un sostegno alla presidenza nigerina.

Dal coro della condanna escono, come ci si aspettava, i governi golpisti di Mali e Burkina Faso. In una nota la giunta maliana ha dichiarato di essere al fianco del Burkina Faso per difendere il Niger e ha avvertito che «qualsiasi intervento militare contro il Niger sarà considerato come una dichiarazione di guerra contro il Burkina Faso e il Mali».

Influenza russa

Migliaia di sostenitori dei golpisti hanno marciato per le strade di Niamey nello scorso weekend e intonato slogan contro la Francia, ex potenza coloniale. Tra loro alcuni hanno mostrato bandiere russe e cartelli che inneggiavano a Putin.

Mosca, tuttavia, ha subito preso le distanze dal golpe. A differenza dei precedenti colpi di stato dell’area saheliana, però, il favore della gente nei confronti dei militari golpisti, così come della Russia, sembra decisamente minore e montato ad arte.

«C’è una chiara manovra dei russi per aumentare la propria influenza già molto salda nel Sahel – spiega Aboubacar membro della diaspora nigerina in Italia – che in qualche modo pilota manifestazioni a favore dei golpisti e di Mosca. La maggior parte della popolazione non è schierata con i militari che hanno preso il potere né con Putin.

Cause interne

Dietro il golpe potrebbero esserci piuttosto le tensioni tra Bazoum e Tchiani, nominato capo della guardia presidenziale dal presidente precedente e probabilmente mal tollerato da Bazoum. Ma niente faceva presagire che si sarebbe arrivati a tanto.

Il presidente era stato eletto in una delle poche elezioni democratiche e, al di là della corruzione sempre presente, le cose stavano andando bene. La penetrazione jihadista era molto limitata e l’economia, tra mille difficoltà, procedeva.

Questo è il quarto colpo di stato nel paese dall’indipendenza dalla Francia nel 1960. L’ultimo, nel 2010, oltre che incruento, ha portato a un cambiamento nella direzione della democrazia: quando il presidente Tanja ha annunciato di voler emendare la Costituzione per ottenere un terzo mandato, i militari sono intervenuti per rimuoverlo e organizzato, un anno dopo, nuove elezioni che hanno portato al comando Mahamadou Issoufou.

Quest’ultimo, terminato il suo secondo mandato nel 2021, si è dimesso e ha fatto posto all’ex ministro degli Esteri, Mohamed Bazoum, uscito vincitore dalle urne.

Come riporta African Arguments – che ipotizza, alla base del golpe, un tentativo di Bazoum, primo presidente arabo della storia del paese, di ridimensionare la prevalenza dell’etnia Fulani nella Guardia repubblicana – il Niger è di grande importanza strategica per l’Africa e per il mondo.

Gli Stati Uniti, nell’ambito delle operazioni antiterrorismo, hanno circa mille soldati di stanza nel paese, mentre la Francia, da quando è uscita dal Mali, ha fatto del Niger la propria base regionale con oltre 1.500 effettivi. Ci sono anche presenze minori italiane e di altre forze europee. Gli interessi, oltre alla stabilità dell’area, si concentrano sulla posizione strategica del paese e sulle sue risorse (l’uranio su tutte).

«Nessuno – dice Fabio Minniti, direttore dell’ufficio a Niamey dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) – ha avuto la percezione che qualcosa di simile potesse succedere. Certo, era diffusa la consapevolezza che la grande visione di Bazoum e le sue interlocuzioni con tutti i paesi occidentali e non, improntate allo sviluppo di uno stato che, è bene ricordarlo, è il terzultimo più povero al mondo, potessero non risultare gradevoli alla pancia del paese. Sebbene meno che in altri contesti, anche qui in Niger persiste una antipatia di fondo verso l’occidente in genere. A dire il vero, però, non vedo particolari ingerenze esterne, mi sembra molto più una questione interna. Certo, nessuno può escludere che in questo vacuum possano inserirsi forze estere. Al momento, però, a me non sembra sia questo il caso».

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