Nel suo primo giorno in Ungheria, papa Francesco è ripartito dai due temi chiave della pace e dell’accoglienza dei rifugiati; ha però evitato accuratamente di aprire fronti polemici o di esplicito contrasto con l’attuale governo.

La sensazione generale, anzi, è che sia il governo di Budapest, sia la Santa Sede, abbiano preferito valorizzare ciò che unisce piuttosto che i motivi di dissenso; d’altro canto, sia pure in modo diplomatico, sono emerse pure, dai diversi interventi, le evidenti differenze nella visione dell’Europa, del cristianesimo, nell’approccio a varie questioni fondamentali.

L’Europa è essenziale per la pace

Nel discorso inaugurale della visita pronunciato nella sede del presidente della Repubblica, a palazzo Sandor (dove ha avuto anche un primo incontro con il primo ministro VIktor Orbàn), di fronte alle autorità politiche e al corpo diplomatico, Bergoglio ha citato De Gasperi, Schuman e Adenauer – i padri fondatori dell’Europa – per riaffermare l’attualità dello spirito comunitario che aveva come orizzonte quello di una pace duratura posto all’origine della costruzione politica del continente; quindi ha messo in luce come quel disegno sia entrato in crisi mentre «tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri».

«A livello internazionale – ha detto – pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico».

«Ma la pace – ha proseguito Bergoglio – non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente».

Secondo questa prospettiva, ha detto Francesco, «l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico».

Accogliere chi fugge dalle guerre

Il papa ha ricordato poi Santo Stefano, il fondatore dell’Ungheria, e la Costituzione ungherese, anche se per sostenere i principi di solidarietà, di convivenza fra culture e popoli differenti e di accoglienza degli stranieri. Forse, il passaggio più esplicitamente politico del suo intervento, è stato del resto quello relativo al nodo dell’accoglienza di rifugiati e migranti.

Francesco, in un paese che ha deciso da tempo la linea dura delle frontiere chiuse e che però ha accolto milioni di persone in fuga dalla confinante Ucraina, ha chiamato in causa l’agire del cristiano e la politica europea: «È pensando a Cristo presente in tanti fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici, che occorre far fronte al problema senza scuse e indugi».

«È tema – ha aggiunto – da affrontare insieme, comunitariamente, anche perché, nel contesto in cui viviamo, le conseguenze prima o poi si ripercuoteranno su tutti. Perciò è urgente, come Europa, lavorare a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà».

Il pontefice ha anche esortato i cattolici ungheresi a seguire il Vangelo e a non essere succubi del potere politico, questione sensibile in Ungheria dove le istituzioni cattoliche dipendono economicamente in modo preponderante dai finanziamenti statali.

In ogni caso, Francesco, ha pure riaffermato il netto rifiuto della chiesa di fronte all’aborto, che non può essere considerato un diritto, e alla cultura del gender, quindi ha elogiato il sostegno alla famiglia messo in atto dal governo Orbàn: «Che bello costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno».

Temi, questi ultimi, toccati a sua volta dalla presidente Katalin Novak, 46 anni, prima donna a ricoprire la carica nel paese magiaro, appartenente a Fidesz, lo stesso partito del premier Viktor Orbàn.

Il papa mediatore in Ucraina

La presidente Novak ha affermato in proposito che il governo ungherese e la chiesa di Roma hanno in comune la difesa della vita e della famiglia. Ha ricordato che la Costituzione ungherese «tutela la vita del feto fin dal concepimento», quindi, toccando il nevralgico tema del conflitto in Ucraina, ha osservato come il papa possa essere forse l’unico leader mondiale a promuovere un negoziato fra le parti in lotta.

«Ci troviamo ancora distanti – ha detto – dalla strada che conduce alla pace e dalla reale volontà di arrivare al silenzio delle armi. Santo padre, gli ungheresi e moltissime persone in tutto il mondo, vedono in lei l’uomo della pace, sperano che lei possa parlare con Kiev e Mosca, con Washington, Bruxelles, Budapest, con tutti coloro senza i quali non può esserci pace; qui a Budapest le chiediamo benevolmente di voler intercedere personalmente per una pace giusta il prima possibile».

La questione era tornata in toni meno lirici in un’intervista rilasciata dalla presidente Novak alla vigilia dell’arrivo di Francesco, al settimanale cattolico tedesco “Die Tagespost”, nella quale aveva affermato: «Papa Francesco può svolgere un ruolo chiave nel portare avanti i negoziati di pace. Può parlare con entrambe le parti direttamente coinvolte nel conflitto e con i rispettivi partner. È lui che può costruire ponti e far cadere i muri. Ecco perché la sua persona e il suo ufficio sono così importanti. Noi ungheresi condanniamo l'invasione russa e sosteniamo un'Ucraina sovrana, e nel frattempo aneliamo alla pace. Considero uno sviluppo positivo il fatto che sempre più leader politici riconoscano che i negoziati di pace sono urgentemente necessari».  

Anche il Segretario di stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, in un’ intervista rilasciata ai media vaticani poco prima della partenza, aveva spiegato come la visita a Budapest del Papa, potesse essere un’occasione per rilanciare un’iniziativa di pace rispetto al conflitto ucraino; quindi aveva parlato delle migrazioni e del ruolo della chiesa ungherese rispetto allo sforzo prodotto per accogliere quanti affluivano dalla vicina Ucraina e non solo: «Parte di questo lavoro – aveva osservato il cardinale – è stato anche quello di evitare che le donne e i bambini in particolare non cadano vittime della tratta di esseri umani. Nello stesso tempo però la chiesa rimane preoccupata per la situazione dell’immigrazione irregolare lungo la rotta balcanica e per la difficile situazione che molti affrontano, per esempio, lungo il confine fra l’Ungheria e la Serbia. Anche se molti di coloro che si trovano al confine non sono rifugiati, la maggior parte ha bisogno di protezione e tutti devono essere trattati con il rispetto che meritano come persone umane».

Tuttavia, aveva aggiunto il Segretario di stato, si tratta di problemi che non riguardano la sola Ungheria ma toccano l’Unione europea nel suo insieme.

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