Fare come se fosse tutto normale. È questa l'atmosfera dominante che si respira durante la cerimonia di apertura della trentaduesima Olimpiade dell'era moderna. I Giochi cominciano con 364 giorni di ritardo, lo stadio olimpico di Tokyo è vuoto come lo saranno tutti gli impianti che ospiteranno le gare, il dissenso della popolazione locale cresce anziché spegnersi. E giusto per dare un tocco di disgrazia anche alle cerimonia inaugurale in sé, alla vigilia il suo direttore Seiko Hashimoto è stato licenziato a causa di una battuta antisemita pronunciata nel 1998. Per la serie: altro che Cancel Culture, è del suo rovescio (la chiamiamo Record Culture?) che bisogna preoccuparsi.

Nel senso che a un dato momento della tua vita combini una bestialità di cui ti dimentichi già nel giro di mezz'ora; e invece quella ti torna addosso a boomerang 23 anni dopo perché avevi compiuto la bestialità al quadrato di registrarti o farti registrare in video. Chi potrebbe davvero ritenere di essere al riparo?

La solitudine dell'atleta

Yomiuri

Divagazioni sul tema di una cerimonia inaugurale che si spera irripetibile. Condotta fra luci e fuochi d'artificio nel cuore di una metropoli impaurita dal Covid e illividita da un'atmosfera di festa totalmente fuori contesto. Una mesta festa, tenuta dentro un stadio olimpico che ripreso dall'alto somiglia a un gigantesco 0. E in quel catino che non sa ancora se potrà ospitare l'atto finale della manifestazione è stata messa in scena la rappresentazione di questo anno supplementare rispetto alla scansione del quadriennio olimpico.

Immagini evocative, vere. Forse la parte più bella della cerimonia. Con la rappresentazione della solitudine degli atleti e delle atlete, tutti costretti per mesi a stare lontani dalle arene di gara e dai campi di training, ma mai disposti a mollare. E per questo forzati a allenarsi da soli per mantenere la forma fisica e la speranza di veder giungere la chance, prima o poi. E per carità, nessuno tiri in ballo quell'orribile parola che comincia con “resil-” e finisce per “-ienza”, perché la fatica e l'abnegazione mostrate da atlete e atleti durante questo anno di troppo, e ben rappresentate dai figuranti nell'arena dello stadio Olimpico, sono pura forza di volontà, non soltanto capacità di riorganizzare la quotidianità dopo la sua rottura causata da evento traumatico. Piuttosto, la solitudine dello sforzo fisico casalingo è stata l'accettazione di un grado superiore della sfida, l'innalzamento di asticella della performance.

Tutto ciò che segue, come capita per ogni cerimonia inaugurala dei Giochi, va sottoposto a processo di decodifica cui assolvono i telecronisti. Fra i loro compiti c'è anche quello di svelare il codice oscuro di ciò che viene rappresentato. E al telespettatore rimane la curiosità di sempre: vengono indottrinati mezz'ora prima di andare in diretta, o improvvisano lì per lì come se fosse antani?

Il Pac-man tricolore 

A ogni modo, di simbologia da sgrovigliare ce n'era parecchia. Per esempio, quella sulla lavorazione del legno che rimanda alle precedenti olimpiadi tenute da queste parti (Tokyo 1964), quando gli atleti e le atlete partecipanti piantarono un albero ciascuno. Col legno di quegli alberi sono stati realizzati i cinque cerchi olimpici issati nel momento clou della cerimonia, sotto gli occhi dell'imperatore Naruhito e di un ingessatissimo Thomas Bach, presidente del Cio che continua vedere i Giochi 2020+1 come elemento di speranza nel futuro per l'umanità.

Ma simbologie a parte, il tema legato alla manifestazione d'apertura che ha dominato i social sul versante italiano è quello delle divise firmate EA7. Di una così generosa bruttezza da strappare ammirazione. Roba che se esistesse il rito dello scambio dei giubbotti come per le maglie del calcio, gli avversari direbbero: «Grazie, come se avessi accettato».

Soprattutto, è stato l'effetto ottico di quell'esercito vestito di bianco con una macchia pizza Margherita sul petto a devastare l'occhio. Il commento più azzeccato colto via web: «Sembrano gli spermatozoi di “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere)”». A noi che amiamo volare più basso, quel tricolore dalle bande colorate convergenti in basso ricorda un Pac-man dalle fauci rivolte verso l'alto. Gli atleti italiani, in formazione nutritissima (roba da doversi aspettare una cinquantina di medaglie), apparivano tanto lieti e sorridenti di portare in giro quella mise. Con buonissime ragioni. Mica si rendevano conto dell’impatto visivo che stavano creando.

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