Se dovessimo trovare un’espressione per descrivere in maniera esaustiva i 18 mesi di detenzione di Patrick Zaki potremmo riassumerli in una crudele sequenza di udienze tutte uguali a loro stesse.

Ieri l'ultima. Indetta prima dello scadere dei consueti 45 giorni di detenzione, rinnovati lo scorso 12 luglio. Unico fuori programma: la decisione arrivata in tarda serata anziché il giorno dopo. Ma una comunicazione a metà. La custodia cautelare «è stata rinnovata», ha detto all'Ansa la legale di Patrick, Hoda Nasrallah, il giorno dopo si è saputo che la proroga è di altri 45 giorni.

La notifica arriva 24 o 48 ore dopo la seduta della corte, riunitasi anche ieri nell'aula bunker del carcere di Tora al Cairo. Anche questa volta, la delegazione diplomatica, compreso il rappresentante dell'ambasciata italiana in Egitto, è stata tenuta fuori.

I diplomatici delle ambasciate di Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno depositato una comunicazione scritta per segnalare al giudice l'interesse a tornare ad assistere alle udienze.

La coordinatrice del master di Zaki

«Ho saputo che sono rimasti fuori i diplomatici e questo mi sembra una cosa molto grave», dice Rita Monticelli, coordinatrice del master Gemma dell'Università di Bologna. Monticelli spera che «il solco diplomatico invocato dalla mozione votata alla Camera che chiede la liberazione di Patrick stia procedendo e acceleri e i suoi tempi». Ma l'auspicio della coordinatrice del master che il giovane egiziano frequentava prima di essere arrestato sembra un miraggio.

Durante l'ultima udienza, i legali del giovane ricercatore hanno tentato una nuova mossa: quella di mettere per iscritto la richiesta di scarcerazione. La parola nero su bianco, un foglio che attesti che questi 18 mesi di detenzione sono completamente ingiustificati, in una situazione in cui i documenti e le comunicazioni sono pochissime. Senza rinvio a giudizio, gli avvocati hanno solo alcune sparute comunicazioni della Procura, ma non le carte dell'inchiesta che vengono consegnate dopo la fine delle indagini. Indagini che però non finiscono mai e si inizia a temere che superino i due anni, quelli previsti dalla giurisprudenza egiziana, e così anche la detenzione di Patrick cominciata la notte del 7 febbraio del 2020 all'aeroporto del Cairo.

La difesa

Senza le carte delle indagini non c'è modo di preparare la difesa, senza un processo non ci si può appellare alle prove su cui sono costruite la accuse di associazione terroristica e minaccia per la sicurezza nazionale: 10 post di Facebook che l'accusa da sempre ha ritenuto falsi, scritti da un account che non è quello di Patrick Zaki. Qualunque intuizione dei legali per ora si è risolta in un insuccesso.

L'esposto presentato subito dopo l'arresto di Patrick per le torture subite dall'attivista in aeroporto, per esempio, non ha mai avuto seguito così come è stata rifiutata la più recente richiesta di cambiare il collegio giudicante, che secondo i legali di Zaki, si starebbe accanendo sul giovane ricercatore. Al momento sembra tutto inutile: la famiglia e i legali restano in balia del meccanismo giudiziario egiziano, imprevedibile e schizofrenico.

L’interrogatorio

Lo scorso luglio, il giovane ricercatore è stato interrogato e non accadeva da tempo. Un evento, anche questa, difficile da decifrare. Come scritto da Zaki in una delle lettere inviate dal carcere, il suo interrogatorio potrebbe preludere a un rinvio a giudizio. Il caso, è ancora aperto, e gli inquirenti egiziani possono continuare a svolgere indagini e interrogatori.

Il caso Zaki in Italia ha dato vita a una delle campagne della società civile più importanti degli ultimi decenni. Si è perso il conto delle città che hanno conferito la cittadinanza italiana al giovane, mentre il parlamento - prima il Senato e poi la Camera - ha approvato la mozione per conferire la cittadinanza italiana per meriti speciali ma al momento la procedura, che dovrebbe partire dalla proposta del Ministro dell'Interno di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, non è ancora iniziata.

«Sono molto preoccupata, conosco Patrick per essere un ragazzo coraggioso e forte ma temo che il prolungarsi della sua detenzione, e questo continuo rimandare, metta sempre più a dura prova la sua capacità fisica e psicologica», conclude Monticelli. «Queste sono situazioni estreme e la vulnerabilità di chi vive queste condizioni aumenta. Io spero solo che gli arrivi tutto il nostro sostegno anche oltre le mura della prigione».

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