Le strette di mano della presidente taiwanese Tsai Ing-wen con gli ultimi due speaker della Camera dei rappresentanti e la disputa sul “pallone spia” cinese abbattuto dagli Usa sono state finalmente archiviate. Con la visita della responsabile del tesoro, Janet Yellen (tre settimane dopo quella del segretario di stato, Antony Blinken), Pechino e Washington provano a gestire responsabilmente la loro rivalità, che in ambito tecnologico sta dando vita a due universi paralleli.

Yellen non è certo un “falco” dell’amministrazione Biden. Eppure, sbarcata l’altro ieri a Pechino - dove si tratterà fino a domani -, ha sottolineato che Washington vuole «una sana competizione economica a vantaggio dei lavoratori e delle imprese americane». E ha reclamato più spazio per le aziende Usa in un mercato caratterizzato sempre più dal protagonismo delle compagnie cinesi che perseguono gli obiettivi indicati dal governo. Yellen ha aggiunto che «agiremo per proteggere la nostra sicurezza nazionale quando necessario e questo viaggio rappresenta un’opportunità per evitare problemi di comunicazione o incomprensioni».

Cambio di paradigma

Nonostante i 690 miliardi di dollari di interscambio registrati nel 2022, le relazioni sino-statunitensi non sono più imperniate, come negli ultimi decenni, sul reciproco vantaggio economico: a condizionarle, sono ora anche interessi di sicurezza nazionale divergenti. E ciò limita le possibilità di riavvicinamento tra la potenza in ascesa e quella egemone.

Quando ieri la missione di Yellen è entrata nel vivo, il ministero delle finanze cinese ha pubblicato un comunicato per ricordare che «dalla guerra commerciale, dal decoupling e dalla “rottura delle catene” non emergerà alcun vincitore». Lunedì Pechino aveva annunciato limitazioni alle esportazioni di gallio e germanio, metalli strategici per l’industria hi-tech dei quali la Cina detiene rispettivamente il 95 e il 67 per cento della produzione. Una mossa che, ha replicato il dipartimento del commercio Usa, «sottolinea la necessità di diversificare le catene di fornitura». E che arriva a pochi giorni dall’annuncio da parte dell’Olanda (che si è allineata a Usa e Giappone) del blocco della vendita alla Cina dei macchinari più avanzati per la fabbricazione di microchip.

La sfida della Ai

Mentre la segretaria del tesoro ieri incontrava il premier Li Qiang, Xi Jinping ha effettuato un’ispezione nella provincia orientale del Jiangsu - una roccaforte hi-tech - dove ha ribadito l’obiettivo di «un alto livello di autosufficienza nella scienza e nella tecnologia», e il ministro dell’industria e dell’informatica ha annunciato l’istituzione di un organismo governativo per la creazione di uno standard nazionale per i “large language models” (Llm) utilizzati per istruire l’intelligenza artificiale.

La leadership cinese punta a ottenere da Biden la riduzione di alcuni dazi che stanno contribuendo a deprimere l’export della Cina, e il ritiro dell’indagine lanciata dal governo Usa nel 2018 sulle politiche e le pratiche cinesi relative al trasferimento di tecnologia.

Ma, al di là della retorica ufficiale che esalta perfino l’arcobaleno che ha accolto l’atterraggio di Yellen, i cinesi sono rassegnati ad avere nei prossimi anni un rapporto più burrascoso con gli Usa. Non a caso Pechino sta scommettendo sulle aree di libero scambio nelle quali gli Stati Uniti sono assenti, come la Regional Comprehensive Economic Partnership entrata in vigore il 1° gennaio 2022 di cui la Cina fa parte, e il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership alla cui porta non si stanca di bussare.

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