Il clima tra Pechino e Washington rischia di raggiungere la temperatura d’ebollizione se – come anticipato dal Financial Times – Nancy Pelosi si recherà il mese prossimo a Taiwan. Secondo il quotidiano della City, la portavoce della Camera dei rappresentanti Usa guiderà sull’isola una delegazione, come 25 anni fa il suo predecessore ultra conservatore Newt Gingrich, che, alla testa di undici parlamentari, incontrando il presidente Lee Teng-hui dichiarò: «Non possiamo mai essere d’accordo con Pechino nel considerare Taiwan come una sua provincia».

Il viaggio di Pelosi – già previsto per lo scorso aprile, quando a fermarla era stato il Covid – confermerebbe l’intensificazione delle relazioni tra Washington l’amministrazione indipendentista della presidente Tsai Ing-wen. Ma un quarto di secolo dopo lo schiaffo di Ginrich, quello di Xi Jinping non è più il paese che con Jiang Zemin bussava alle porte dell’occidente chiedendo il permesso di entrare nell’Organizzazione mondiale per il commercio. La seconda economia del pianeta esercita un’influenza globale, mentre le tensioni con l’occidente attizzano il fuoco del nazionalismo.

«Se gli Stati Uniti insistono con questa mossa, la Cina prenderà sicuramente misure risolute ed energiche per difendere fermamente la sua sovranità nazionale e integrità territoriale», ha tuonato ieri il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian.

Già pronta la rappresaglia

Il 9 luglio scorso, incontrando in Indonesia il suo omologo Antony Blinken, il ministro degli Esteri Wang Yi lo aveva invitato a «non sottovalutare la ferma determinazione del popolo cinese a difendere la sovranità territoriale e non commettere errori sovversivi che compromettono la pace attraverso lo Stretto di Taiwan».

Gli avvertimenti di Pechino sono troppo duri e reiterati per immaginare che l’arrivo di Pelosi (non confermato né dal suo ufficio, né da Taipei) possa passare senza conseguenze. Fonti cinesi fanno trapelare che sarebbero già pronte sanzioni per la speaker della Camera, la sospensione della cooperazione Cina-Usa sui cambiamenti climatici, e un’intensificazione dei sorvoli dei caccia dell’esercito popolare di liberazione nelle zone d’identificazione di difesa aerea taiwanesi.

Il mese scorso il ministero degli Esteri di Taipei aveva rivelato che Nancy Pelosi è tra i politici statunitensi sui quali negli ultimi anni l’amministrazione Tsai ha esercitato un’intensa azione di lobbying, attraverso agenzie statunitensi di pubbliche relazioni che lavorano sul Congresso e la Casa Bianca.

Stati Uniti e Ue appaiono determinati a rafforzare la collaborazione con Taipei, assecondando la strategia di Tsai di “internazionalizzare” la questione taiwanese. In questi giorni sono sull’Isola l’ex ministro della Difesa di Trump Mark Esper e una delegazione di deputati Ue guidata dalla vice presidente dell’Europarlamento Nicola Beer, che appena sbarcata ha dichiarato che «la famiglia delle democrazie, che ha agito con ritardo su Hong Kong, non chiuderà gli occhi di fronte alle minacce della Cina a Taiwan».

Una polveriera nel Pacifico

Cina e Stati Uniti hanno sfiorato lo scontro su Taiwan già tre volte sempre evitato dalla minaccia di intervento degli Stati Uniti, che mantenevano una supremazia militare assoluta nel Pacifico occidentale. Oggi il pericolo è che lo scenario di guerra si ripeta con una mossa “preventiva” di Pechino, qualora la leadership cinese dovesse convincersi che la posizione di Esper sia diventata senso comune a Washington.

© Riproduzione riservata