Non c’è pace al Congresso degli Stati Uniti. Nemmeno dopo l’elezione del nuovo speaker Mike Johnson, appartenente alla destra trumpiana, c’è stata una sia pur breve “luna di miele” con la Casa Bianca. Sin dal primo giorno il nuovo leader della Camera dei rappresentanti ha definito il presidente «senile» e persona «che probabilmente ha commesso dei reati degni di impeachment». Naturale, dunque, che a fare le spese di questa tensione fosse il maxipacchetto da 106 miliardi di dollari di aiuti che Biden vorrebbe destinare a Ucraina, Israele, Taiwan e al rafforzamento della sicurezza al confine messicano.

Johnson ha preferito assecondare il volere di parte del suo gruppo, che preferisce rinviare a un secondo momento la discussione su Kiev per inviare prima possibile i 14 miliardi necessari per aiutare lo sforzo bellico israeliano.

Una mossa che non è piaciuta al presidente che ha minacciato il veto qualora il provvedimento dovesse passare anche l’esame del Senato. Sia l’inquilino della Casa Bianca sia il leader del gruppo repubblicano alla Camera alta, Mitch McConnell, ritengono che il provvedimento vada approvato nella sua interezza anche per dare un segnale di unità nazionale nella lotta a ciò che sta minacciando l’America.

Unità contro le minacce

Dopotutto è la linea tracciata dal presidente nel suo discorso in diretta televisiva del 20 ottobre. Tanto i «dittatori», leggasi Vladimir Putin, quanto i «terroristi», e qui il riferimento è per Hamas, sono parte del medesimo problema.

Allora la voce che circola nei corridoi dei palazzi del potere di Washington è che il compromesso sia possibile su un punto dove in passato le differenze tra democratici e repubblicani erano stridenti, almeno per quanto riguarda la postura pubblica e l’immagine: l’immigrazione.

Il punto che si andrebbe a toccare riguarda la cosiddetta “paura concreta” che viene usata dai richiedenti asilo che vogliono essere ammessi legalmente negli Stati Uniti. Di che si tratta? La persona in questione, di fronte al tribunale che ne esamina lo status, oggi deve dimostrare che c’è «una significativa possibilità» che il suo ritorno al paese di provenienza possa voler dire subire torture, persecuzioni politiche o altre vessazioni.

I cavilli che verrebbero cambiati innalzerebbero questi standard rendendo più difficile dimostrare il rischio e riducendo, di fatto, il numero dei rifugiati in America. Mossa che prevedibilmente farebbe molto arrabbiare le associazioni che difendono i diritti dei migranti e la sinistra progressista, già delusa dal fatto che ai tempi del Covid veniva utilizzata un’oscura norma risalente agli anni Quaranta che, in caso di emergenza sanitaria, consentiva la deportazione quasi immediata di decine di persone.

Il fronte dei sindaci

È probabile che nemmeno questo cambiamento basti ai repubblicani della Camera per tornare al tavolo del negoziato. Uno dei senatori più vicini all’ex presidente Trump, J.D. Vance dell’Ohio, ha dichiarato che per valutare un accordo ci vorrebbe un ritorno ad alcune politiche del quadriennio trumpiano come la cosiddetta legge “Resta in Messico”, che di fatto bloccava a sud del confine coloro che attendevano di conoscere il verdetto sull’accoglimento della loro richiesta di residenza sul territorio americano.

A favore di un compromesso su questo punto sembrerebbero essere i sindaci delle grandi metropoli e numerosi amministratori locali dem. Nella giornata di giovedì il primo cittadino di Denver, Mike Johnston, e il suo omologo di Chicago, Brandon Johnson, hanno incontrato il capo di gabinetto di Biden, Jeff Zients, per capire se la richiesta di aiuto contenuta in una lettera inviata alla Casa Bianca mercoledì – e firmata anche dalla sindaca di Los Angeles Karen Bass, dal sindaco di New York Eric Adams e da Sylvester Turner di Houston – potesse avere un seguito.

Sono settimane che questi centri urbani stanno attrezzandosi per accogliere numerosi bus provenienti dal Texas carichi di persone da smistare, dato che il governatore repubblicano Greg Abbott ha deciso di fare così per far sentire «alle élite urbane» il peso dello sforzo del Lone Star State. Ironia della sorte Houston, che si trova in Texas, deve subire un doppio impatto dei migranti sulla normale vita cittadina.

Questa, però, è solo una base di partenza per una trattativa tra i partiti che si preannuncia difficile. Mentre continua ad avanzare il conto alla rovescia per il 17 novembre, quando finiranno i soldi per il governo federale e si rischierà nuovamente uno shutdown. Senza che su questo punto si sia nemmeno iniziato a parlare.

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