«Per il papa Hamas è il male, e ci ha detto che farà di tutto per noi». Così ha raccontato Ashley Waxman Baskhi, la cugina di una degli ostaggi ancora a Gaza, dopo aver parlato col pontefice lunedì mattina. Un gruppo di parenti dei più di 130 ostaggi ancora prigionieri a Gaza è in visita in Italia da domenica, accompagnato dal ministro degli Esteri Israel Katz. Lunedì mattina hanno incontrato il papa in Vaticano e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mentre domenica hanno incontrato Antonio Tajani.

I parenti raccontano che il papa è stato molto «caloroso» con loro e che è costantemente in contatto con una parrocchia ancora presente nella Striscia. «Ci ha detto che sta lavorando con i suoi canali per aiutare a rilasciare gli ostaggi», ha continuato Waxman.

Le storie

Da mesi delegazioni di familiari degli ostaggi girano le capitali d’Europa e Nord America per sensibilizzare le opinioni pubbliche mondiali. Si lamentano del fatto che ci sia scarsa comprensione e considerazione del loro dramma e solo difesa del dolore dei palestinesi.

Nel contempo, molti parenti e amici, oltre a continuare a lavorare col Forum delle famiglie degli ostaggi a Tel Aviv – un gruppo di ex diplomatici israeliani che, come volontari, aiuta le famiglie – hanno iniziato a scendere in piazza a decine di migliaia per forzare il governo di Benjamin Netanyahu a raggiungere un accordo per la liberazione degli ostaggi, che peraltro contano più di 20 nazionalità diverse, oltre a quella israeliana. «Io non protesto, non voglio che i nostri nemici vedano che abbiamo problemi interni», dice Waxman. «Ma applaudo il mio governo, viviamo in una democrazia».

Ognuno di loro ha raccontato la storia dei propri cari rapiti. E con compostezza, ma a volte con difficoltà a trattenere le lacrime, ha manifestato la propria ansia e il proprio dolore. «Per noi ogni giorno è il 7 ottobre. È difficile», ha detto Naama Miran, sorella di Omri rapito dal kibbutz Nahal Oz, al confine con la Striscia. Dani Miran, padre di Omri e Naama, ha chiesto con insistenza che si ottengano da Hamas i nomi delle persone trattenute a Gaza e ancora vive.

Il dramma

Parte del dramma dei familiari è anche questo, non aver saputo più nulla dei propri cari dal 7 ottobre e quindi temere ogni giorno che possa arrivare la notizia che in realtà sono morti. La maggior parte dei nove familiari si è detta preoccupata ma soprattutto arrabbiata per le proteste pro palestinesi nelle piazze europee e nei campus americani, senza che si manifestasse la minima pietà per chi è stato rapito.

«Urlare “Dal fiume al mare” significa dire che noi dobbiamo tutti morire. Invece la creazione di Israele è stato il più importante esempio di decolonizzazione della storia», ha detto Waxman. Ne hanno anche per le Nazioni unite, che accusano di difendere solo la causa palestinese e non considerare né il loro dolore né il fatto che la guerra a Gaza non è stata iniziata da Israele, e che quindi è per loro una guerra di difesa, di cui stanno facendo le spese anche i loro parenti.

«Penso che abbiano uno sguardo a senso unico. La maggior parte delle dichiarazioni dell’Onu sono contro Israele, si preoccupano solo dei palestinesi», dice Alon Nimrodi, padre di Tamir, rapito dalla base militare di Nahal Oz.

Il ritorno degli ostaggi

«I palestinesi non esistono, non sono un vero gruppo. Chiedetegli chi era il loro leader nel 1948, chiedetegli di mostrarvi la loro bandiera prima di quell’anno. Non possono perché non c’era. Invece qualsiasi israeliano potrebbe rispondere per gli ebrei», ha detto Nimrodi.

Per loro è inconcepibile che si parli di cessate il fuoco prima che i loro cari tornino a casa. Il governo israeliano ha ritirato questo fine settimana la maggior parte dei soldati dal sud di Gaza, alimentando speculazioni che potesse essere il preludio a un accordo di cessate il fuoco che possa portare alla liberazione degli ostaggi.

La Casa Bianca ha fatto sapere lunedì in serata che una proposta di rilascio degli ostaggi è stata recapitata ad Hamas, mentre il quotidiano israeliano Haaretz ha parlato di cauto ottimismo negli ambienti diplomatici sulla possibilità di raggiungere un accordo tra Israele e Hamas.

© Riproduzione riservata