La violenza è diventata endemica a Baghdad. Il parlamento si è di nuovo riunito per eleggere un nuovo presidente. Subito sono scoppiati scontri tra i sostenitori del leader religioso populista iracheno Muqtada al Sadr e le forze di sicurezza. I sostenitori della linea filo iraniana sembrano prevalere in questa fase mentre al Sadr resta un nazionalista convinto e respinge ogni ingerenza straniera.

Tra l’altro la crisi si dipana in concomitanza con il bombardamento da parte iraniana nella regione settentrionale del Kurdistan, che ha ucciso almeno nove cittadini per lo più bambini. La rabbia degli sciiti anti iraniani sta di nuovo crescendo e mette a rischio la stabilità del paese.

Nel vicino Iran la rivolta del velo e le violenze anti curde dimostrano che nulla è scontato. A settembre sia i leader iraniani che il presidente americano Joe Biden avevano parlato al telefono con il primo ministro iracheno ad interim per esprimere – ognuno dal canto suo – preoccupazione dopo gli scontri nella capitale dove hanno perso la vita oltre 30 persone (un centinaio i feriti), quasi tutti appartenenti alle milizie sadriste che occupavano i palazzi del parlamento nella green zone.

A tutt’oggi non si vede come un dialogo nazionale, pur auspicato da più parti, possa sbloccare la situazione. L’Iraq si trova in uno stato di sospensione politica dalle elezioni parlamentari dell’ottobre 2021. I candidati fedeli a Moqtada al Sadr – sciiti nazionalisti – pur vittoriosi nelle urne non hanno ottenuto una maggioranza sufficiente a formare il governo.

Contro di loro le altre componenti sciite, riunite nel coordinamento filo iraniano che ora paiono in vantaggio. ma si tratta di una situazione volatile e al Sadr può sempre rifarsi, vista anche la crisi che sta subendo Teheran. 

A giugno scorso al Sadr aveva ordinato ai suoi parlamentari di dimettersi in segno di protesta contro l’ostruzionismo dei filo iraniani che, rimasti da soli, hanno forzato la situazione nominando un premier ad interim e ora anche un nuovo presidente della repubblica.

Alcuni media iracheni sostengono che i gruppi armati legati al coordinamento siano i responsabili dei numerosi attacchi degli ultimi anni alle basi delle forze della coalizione internazionale a guida statunitense. D’altro canto i sadristi non sono teneri anche con gli Usa. Di continuo cercano di occupare la zona verde, l’area di massima sicurezza nel centro di Baghdad che ospita anche l’ambasciata statunitense.

Contro di loro sono schierate le forze di sicurezza e i paramilitari sostenuti dall’Iran. Per ora l’esercito regolare non ha preso posizione. Le posizioni delle due ali politiche sciite restano molto lontane e anche a Bassora e Nassiriya si verificano scontri.

Stanchi della guerra

Il coordinamento filo iraniano vorrebbe procedere con questo parlamento; la posizione di al Sadr è invece quella di indire nuove consultazioni. La disputa si sta aggravando e non si vede chi potrebbe imporre una nuova fase di dialogo.

Gli iracheni sono certamente stanchi della guerra e le violenze fanno temere un ritorno indietro ai periodi più bui della storia recente del paese. Ci sono troppe milizie armate operanti sul terreno legate ai partiti, sia sadriste che filo iraniane, senza contare le curde. L’Iraq resta un paese super armato e ogni polemica rischia sempre di finire in violenza.

Cosa possono fare i due influenti nemici, Stati Uniti e Iran? I primi sono alle prese con la Russia; i secondi con i tumulti interni. Entrambi dovrebbero negoziare il nuovo accordo nucleare. A quasi 20 anni dall’invasione americana a Baghdad sarebbe opportuno riconoscere che non esiste una soluzione militare alla crisi irachena che appare molto complessa.

Colpisce come entrambi i protagonisti esterni più ascoltati nel paese stiano usando le stesse parole nei loro ripetuti richiami alla moderazione e alla calma. Oltre a questo per ora non ci si spinge: sarebbe come un tendersi la mano fra loro, cosa che Washington e Teheran non sono disposti a fare mentre negoziano e hanno posizioni diverse sulla guerra in Ucraina e sulla crisi energetica globale.

Paradossalmente l’Iran ha offerto all’occidente di sostituirsi alla Russia come provider di gas e petrolio: un modo per uscire da decenni di isolamento. Finora non c’è stata risposta. Come in Libano o in Siria, anche in Iraq la responsabilità primaria per superare la crisi ricade nelle mani degli attori locali (o al massimo regionali) mentre quelli internazionali mantengono un atteggiamento prudente e attendista, timorosi di ritrovarsi coinvolti in nuove avventure armate di lungo periodo.

© Riproduzione riservata